Low Cost

Dublino: un laureato piemontese tira a campare, fra sbronze, ricerche di lavoro, progetti più o meno irrealizzabili e, naturalmente, ragazze. Anzi, tipe.

Pubblicato da una microcasa editrice de La Spezia, Low Cost è una vera  rivelazione, per la capacità dell’autore di infondere linfa e levità in un genere, quello dei vitelloni più o meno provinciali, che pensavo ormai usurato fino alla (mia) nausea. L’autore scrive benissimo – chi direbbe che è un esordiente – ed il libro è semplicemente, come dire, delizioso. Mauro Fiorio Pià ha la rara abilità di rendere un mondo, con poche annotazioni acute e infallibili,  in un tono sempre ironico ma leggero, senza risparmiare sè, la propria generazione, gli italiani in generale e ovviamente, gli irlandesi.

Anche se inseriti in una vicenda autobiografica, i personaggi sono simpatici e credibili, e il racconto spazia  dalla provincia piemontese, evocata con realismo e poesia insieme, alla realtà dublinese, quel mondo ibrido dei fuoriusciti ospiti della (ex) tigre celtica, non irlandese ma neppure un semplice crogiolo di nazionalità. Non c’è bisogno di conoscere Dublino per apprezzarlo, ma chiunque ci sia stato per più di qualche giorno, se lo godrà ancora di più.

Un libretto che si fa divorare – una scrittura giovanile, equilibrata, sorridente e soprattutto senza inutili seghe stilistiche – ma che riflette anche, in maniera non banale, sull’italianità propria e altrui. Spero proprio che l’autore continui a scrivere, senza perdere questo tocco..

Low Cost è la storia di un gruppo di giovani che scelgono di non accettare la via del precariato ed approdano sulle rive della Tigre Celtica, che le agevolazioni fiscali e i contributi UE hanno per qualche tempo trasformato nella Svizzera del ventunesimo secolo. Mauro Fiorio Plà, piemontese che vive e lavora da qualche tempo a Dublino ha scelto il  “romanzo generazionale” come strumento per raccontare la “storia capovolta” di chi l’Italia non la insegue ma la lascia. Non solo birra e ragazze, quindi, ma anche una riflessione ironica sull’Italia e sugli italiani visti da lontano.

Milanonera, in trasferta nell’isola di smeraldo, l’ha incontrato per farsi raccontare cosa significa scrivere per un pubblico di italiani, dall’Irlanda.

Che cosa ha portato in Irlanda?

Qui ci vuole una premessa: come credo tanti italiani della mia generazione, sono sempre stato molto -magari anche troppo- esterofilo, e di conseguenza è sempre stato uno dei miei obiettivi andare a vivere e lavorare all’estero per un periodo di tempo significativo (non l’Erasmus o una vacanza-studio insomma). La carenza di opportunità in Italia poi, ovviamente, sommata a questo mio desiderio di emigrare a prescindere, mi ha spinto sulle rive celtiche… Perchè l’Irlanda?, mi chiedono in molti. Semplice: quattro anni fa feci domanda per una borsa di studio Leonardo (il programma Leonardo Da Vinci, l’equivalente dell’Erasmus per chi ha finito l’università e vuole fare un’esperienza lavorativa all’estero, n.d.r.). La scelta era fra Irlanda e Regno Unito. Scelsi l’Irlanda perchè sapevo che l’economia irlandese stava attraversando una fase di crescita mai vista prima. E poi perchè, almeno stando a quanto avevo sentito, l’Irlanda mi sembrava un posto più a misura d’uomo, gli irlandesi più semplici e affabili, eccetera…

Con Low Cost, hai realizzato un racconto breve ma piuttosto strutturato e ricco di situazioni anche buffe. Si tratta della tua prima esperienza con la scrittura? E quanta parte della tua esperienza di vita si riflette nel libro?

Si tratta del primo romanzo/racconto che ho pubblicato, ma mi sono sempre cimentato con la scrittura, è sempre stata una mia passione fin dalle elementari. Il libro non è autobiografico. Le situazioni descritte sono per lo più inventate, o versioni romanzate di cose raccontatemi da altri. Le riflessioni, i pensieri a monte di tutto, quelli sì, quelli sono miei.

Vivendo e lavorando in Irlanda, pensi che l’ambiente letterario irlandese abbia in qualche modo contaminato il tuo modo di raccontare? Ci sono scrittori irlandesi a cui hai fatto riferimento?

Ho sempre apprezzato lo stile di scrittura degli anglosassoni (irlandesi inclusi, anche se loro non vogliono –giustamente- essere assimilati agli anglosassoni), semplice, conciso, minimalista ma estremamente efficace. Tra gli scrittori contemporanei irlandesi ho sicuramente un debito con Ross O’CarrolKelly (pseudonimo di Paul Howard), uno scrittore umoristico da cui ho preso a prestito il gusto per lo slang, un certo tipo di colloquialismo e l’ironia tagliente.

E quanto l’Irlanda ha influito sulla tua scelta di scrivere?

Non so se l’Irlanda in sè ha influito sulla mia scelta. Mi sono trovato in una situazione in cui odiavo il mio lavoro e dovevo assolutamente riempire il mio cervello con qualcos’altro e dato che amo scrivere, mi sono buttato seriamente su quello.

Nel tuo libro descrivi in maniera ironica, ma anche affettuosa, la comunità italiana a Dublino. Ma esiste a Dublino una comunità italiana nel vero senso della parola? Ed i giovani ne fanno parte oppure si mescolano più facilmente con gli altri stranieri, come risulta dal tuo romanzo?

A Dublino ci sono molti, moltissimi italiani. Intorno ai 10 mila a quanto pare. Esiste una comunità, nel senso classico del termine, tra gli italiani immigrati di prima generazione, quelli venuti in Irlanda negli anni ’50 e ’60. Quanto alle nuove generazioni, non parlerei dicomunità, anche perchè credo che nemmeno in Italia esista più qualcosa di simile, almeno tra i giovani. Ci sono tante individualità, gruppi di amici, anche organizzazioni, ma comunità direi proprio di no. I giovani italiani, come tutti gli immigrati da paesi mediterranei, tendono a riunirsi fra connazionali più che con altri. Detto questo, ovviamente l’integrazione con gli irlandesi e altri stranieri esiste, funziona bene ed è piuttosto facile. Basta volerla, come credo in ogni paese del mondo.

Una delle cose più interessanti del tuo libro è la capacità di cogliere i tic e gli atteggiamenti dei singoli ma anche dei rappresentanti di diverse nazionalità. Che cosa, secondo te, distingue gli italiani all’estero dagli altri emigrati

Cosa distingue gli italiani all’estero dagli altri immigrati è, nel bene e nel male, cosa distingue l’Italia dagli altri paesi. Gli italiani si portanto dietro pregi e difetti della loro italianità. Il protagonista del mio libro odia i difetti tipicamente da italiano che lo caratterizzano, ma non riesce a distaccarsene suo malgrado. Credo che questa sorta di conflitto interiore sia comune a tanti italiani, soprattutto giovani, sia in Italia che all’estero.

Gli stranieri, i giovani come te, che non vanno in Irlanda per turismo ma per lavorare, riescono ad integrarsi oppure subiscono qualche forma di emarginazione?

Integrarsi nella società irlandese non è difficile. Gli irlandesi sono persone aperte e tolleranti, per la maggior parte. Io personalmente non ho mai subito alcuna discriminazione a causa della mia provenienza. Gli sfottò sulla pizza e il mandolino sì, ma bisogna anche essere un pò autoironici no?

Dopo Low Cost, stai lavorando a qualche altro progetto letterario?

Sto scrivendo, mettiamola così. Non so se entro breve riuscirò a tirare fuori di pubblicabile, ma sicuramente non mi stancherò mai di provarci. Mi è andata bene una volta, in fondo, quindi perchè non ritentare?

donatella capizzi

Potrebbero interessarti anche...