L’umanità dei personaggi si fonde con la trama investigativa- Intervista a Gian Andrea Cerone – Il trattamento del silenzio

In libreria, e in classifica, con Il trattamento del silenzio, Guanda, Gian Andrea Cerone ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda.

Dopo le vicende di Le notti senza sonno, il commissario Mandelli si è preso un periodo di pausa. Del tempo per se stesso, e si è iscritto all’università. Ma l’efferato omicidio di un anziano professore appartenente alla Milanobene e la sparizione di un’universitaria lo fanno tornare al lavoro. Vuoi aggiungere tu qualcosa della trama?
Il Trattamento del Silenzio si muove intorno alla scomparsa di un libro misterioso, una cinquecentina, il cui titolo e autore sono assolutamente reali e al cui destino è legata la risoluzione del caso principale: gli omicidi brutali e rituali di due collezionisti appartenenti alla cosiddetta Milanobene, quella delle famiglie di antico lignaggio. Lo scenario criminale dell’università invece è una trappola che ho teso al povero Mandelli, che all’inizio del romanzo si ritrova studente cinquantacinquenne in mezzo a tanti giovani. Incidentalmente Mandelli resterà invischiato in un’indagine che lo porterà a scoprire i più sordidi segreti della città e la sua rete di poter e… anche a collaborare con i Carabinieri.

Ci spieghi cosa è il trattamento del silenzio?
I titoli dei miei romanzi sono delle illuminazioni strettamente legate al loro contenuto. Il Trattamento del Silenzio è una vera e propria forma di violenza psicologica, peraltro praticata sin dai tempi dell’inquisizione, che prevede la negazione della comunicazione verbale o gestuale nei confronti di una persona. Forse la più basilare e crudele tortura psicologica che si possa infliggere a qualcuno. L’esempio più banale è il silenzio reiterato dopo una lite tra marito e moglie. Se lo si protrae nel tempo, soprattuto in condizioni di cattività o di dipendenza del soggetto che lo subisce, può generare profondi stati depressivi. Nella mia storia il trattamento del silenzio è soprattutto un segreto familiare nascosto nel cuore del romanzo e seppellito dal tempo. Un segreto che prenderà le sembianze di uno Spettro e darà il via a una tremenda vendetta. Un esplicito omaggio, travestito da noir, ai feuilleton e a Il Conte di Montecristo di Dumas. La citazione di Benjamin Franklin riportata nell’esergo, tre persone possono mantenere un segreto, se due di loro sono morte, rappresenta più che un indizio per un lettore attento.

Normalità è l’aggettivo che più si adatta a Mandelli: è un poliziotto che non ha traumi da guarire, vizi nascosti, debolezze da nascondere. È simpatico, spiritoso, autorevole senza essere autoritario. E’ una persona normale, con una vita serena che ogni giorno si confronta con la cattiveria degli uomini. Come è nato Mandelli?
Mandelli è nato dalla voglia di rispettare la credibilità degli investigatori, che di fatto sono persone normali che fanno un lavoro speciale, particolare e spesso crudele. Ci sono molti poliziotti disturbati, problematici o corrotti nel panorama del poliziesco italiano, alcuni peraltro magistralmente descritti. Io volevo muovermi in un contesto realistico. Il commissario Mandelli è uomo dai tempi lunghi, non a caso ama studiare la storia ed è sposato con la stessa donna da più di trent’anni. A un cento punto pensa di sfuggire al tempo ristretto e sincopato delle indagini rifugiandosi in Università. Ma presto si renderà conto che lui e la sua Marisa non possono più fare a meno di quella vita, dei loro ritmi famigliari orchestrati per anni attorno al mestiere di poliziotto di Mario. Mi serviva un personaggio solido, posato, anche un po’ burbero, che fosse una sorta di padre professionale per la sua squadra, tuttavia non privo di timori o difetti.


Mandelli ha un suo alter ego in Antonio Casalegno, sono diversi complementari, quasi due sfaccettature un unico personaggio. Come hai costruito la squadra che lo circonda? Perché hai inserito un nuovo personaggio? Caterina de Cas? Sentivi già il bisogno di allargare la rosa dei personaggi, già corposa?
Casalegno e Mandelli formano una sorta di formidabile investigatore proprio nella somma dei loro pregi e difetti. Si compensano, assorbono le insofferenze reciproche, si stabilizzano nella franchezza dei loro dialoghi, spesso punzecchiandosi. Antonio è un bello, uno sciupafemmine perennemente insoddisfatto e alla ricerca del vero amore. Sul lavoro è irrequieto, impulsivo, ma è nato per fare il poliziotto. E Mario lo sa. Il resto della squadra orbita intorno a questo nucleo ma nasconde personalità eccezionali come Marica Ambrosio, ex giavellottista giunonica e dolce, e molti altri. Nel secondo romanzo appare Caterina Dei Cas, una poliziotta valtellinese che predilige l’azione. Una come lei mi serviva per dare una scossa emotiva alla squadra e a qualche suo componente. Come accade nelle vere dinamiche professionali, qualcuno arriva e qualcun altro se ne va. La storia della squadra è in divenire, come la vita.

I tuoi libri sono un riuscito mix tra Thriller e noir, con molto spazio dedicato alla descrizione dei personaggi. La loro storia ha una parte importante nell’economia del romanzo. Si seguono l’indagine e la loro vita personale.
Cercavo proprio questa cifra narrativa del noir, romanzi in cui l’umanità dei personaggi si fondesse con la trama investigativa sullo sfondo magnifico di Milano. Senza mai perdere il ritmo del thriller e il tiro delle storie.

Entrambi i libri hanno due trame, due indagini da risolvere, da una parte un caso crudele e efferato dall’altra parte un crimine apparentemente più normale. Ma è davvero così normale il male? 
Il male ci circonda tutti i giorni in tutte le sue possibili varianti, anche quando non lo vediamo. Basta leggere le cronache o guardare i notiziari per capire che è più vicino di quanto si creda. Fortunatamente non è ancora una normalità ma fa parte della nostra realtà. Io utilizzo due indagini principali, e talvolta qualche sotto traccia, proprio per poter raccontare il male in tutte le sue forme. Quello psicopatologico, quello che si annida nel cuore delle famiglie e quello industriale del crimine organizzato.

La malvagità degli uomini è il tema di fondo: hai scelto frasi sulla cattiveria nell’esergo di Notti senza sonno e frasi sul diavolo, sulla Bestia, in questo: per cosa si passa il limite?
La malvagità è a suo modo affascinante, la sua comprensione è da sempre un enigma per l’uomo, è il cuore di tante favole, tragedie e romanzi che hanno appassionato generazioni di lettori. Il limite è molto più vicino di quanto si pensi, ognuno di noi è in grado di compiere azioni malevoli in determinate situazioni o se costretto. Tutti abbiamo cattivi pensieri che vanno gestiti, respinti, tenuti a bada. Il libero arbitrio e la tensione verso il bene sono le cose che ci salvano, che ci indicano quali sono i confini da non superare. Una frontiera molto pericolosa è quella dell’indifferenza, voltarsi dall’altra parte fingendo di non vedere la sofferenza di chi ha bisogno ha certamente a che fare con il male. Se vai a braccetto con l’indifferenza le azioni malvagie non trovano opposizione e il limite si fa ogni giorno più vicino. È un po’ il credo di Mandelli, che osserva le scene del crimine per non dimenticarle mai, per non diventare umanamente indifferente.


In tutto questo male c’è sempre spazio per un po’ di ironia: è uno dei metodi anche per squadra per non perdere la normalità?
L’ironia e la capacità di sorridere di se stessi sono fondamentali. Mandelli e i suoi sono capaci di stemperare le tensioni e di trovare la coesione anche ironizzando. Inoltre è un registro tecnico che mi consente di gestire il ritmo della narrazione. Nei miei romanzi ci sono molte emozioni che i personaggi condividono con il lettore, è in quella condivisione che si crea la magia dell’empatia.

Entrambi i tuoi libri presentano un caso di Stone22. Definizione usata per gli assassini psicopatici, perché hai scelto per entrambi i libri di rappresentare un caso con il massimo grado di crudeltà?
È una classificazione creata dal criminologo americano Michael Stone. Oltre al livello 22, quello degli assassini psicopatici non c’è nulla. Una sorta di male in purezza, tuttavia forse più comprensibile di altri atti criminali proprio perché spesso nasce in seguito a violenze subite in tenera età. Mandelli e Casalegno lo usano come codice personale per comunicare la gravità di un caso. Nei romanzi ci sono due serial killer, ma tuttavia solo il primo rientra pienamente nella categoria. Quello che agisce ne Il Trattamento del Silenzio, è più che altro un vendicatore seriale, lucidissimo e spietato. Ricorda più gli assassini dei grandi romanzi gotici o dei romanzi noir del primo novecento come quelli di Fantomas, peraltro risulta evidente fin dal prologo che ho volutamente giocato su un registro gotico.

Torna anche il tema della solitudine: i protagonisti la combattono con il lavoro, e si sentono meno soli quando uniscono le loro solitudini, sbaglio?
Il tema è quello della riflessione su se stessi e sul proprio destino. È ciò che fa Mandelli quando si chiede cosa lo attenda negli anni a venire, cosa sarà di lui e di Marisa. E allora si mette alla prova, tenta di lasciare il lavoro ma alla fine si arrende all’evidenza di una vita ormai segnata dal  mestiere di poliziotto e dagli equilibri che lui e sua moglie hanno trovato. Casalegno è un solitario alla perenne ricerca di un punto d’arrivo. Marica un ex atleta di una specialità individuale che sta imparando a giocare di squadra. Però è vero, quando uniscono le loro solitudini e i loro difetti si sentono parte di qualcosa di importante. Insieme trovano uno scopo più alto, quello che li fa sentire una sorta di famiglia.

Milano, allo stesso tempo sfondo e protagonista, non solo la città ma anche i dintorni? Una Milano con tantissime anime differenti, in continuo cambiamento. Il tuo essere un milanese di adozione ti ha dato uno sguardo diverso sulla città?
Milano è una protagonista assoluta, ma la sua interazione con i personaggi avviene soprattutto sul piano umano. Non è un semplice scenario, ma un vero e proprio personaggio dei miei romanzi. È una città unica, non a caso scelta da tanti scrittori noir, che non ti chiede mai chi sei ma cosa sai fare e ti concede l’opportunità di dimostrarlo. La considero una multi Italia, perché forma dei gruppi di lavoro unendo persone che provengono da tutte le regioni che però non abbandonano mai la loro identità originaria. E poi può essere osservata in tanti modi differenti. La mia soggettiva di milanese di adozione mi rende privo di debiti morali e mi consente di scoprire degli aspetti nascosti della città che restituisco ai lettori. È fondamentale la distribuzione dei pesi narrativi, nella città che descrivo sono importanti i luoghi noti tanto quanto le periferie sconosciute. Milano è la somma di tante cose, un caleidoscopio che ad ogni giro si ricompone in una visione differente.

Le Notti Senza Sonno il tuo libro d’esordio ha avuto molto successo, ha vinto premi ed è stato finalista allo Scerbanenco: quanta gioia dà e quanta pressione per il secondo?
Molta gioia, ovviamente. Il riconoscimento dei tanti lettori e le loro parole rientrano tra le emozioni più belle che uno scrittore possa ricevere. Più che sul successo resto concentrato sul mio progetto narrativo, sulle idee, sulle cose da fare. Il secondo romanzo, ad esempio, ho iniziato a scriverlo quando Guanda non aveva ancora pubblicato il primo. L’ho scritto perché ero curioso di sapere cosa sarebbe accaduto alla squadra, come si sarebbero evolute le cose, quali casi avrebbero dovuto affrontare. Credo che sia molto importante essere il primo lettore di se stessi. La pressione la devi scaricare nella scrittura. Aver scritto il secondo romanzo mi ha dato la certezza di essere capace di replicare un’opera. È quella consapevolezza che ti fa sentire un vero scrittore.

MilanoNera Ringrazia Gian Andrea Cerone per la disponibilità.
Foto di @Michele Corleone

Cristina Aicardi

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