Un pozzo. Una scarpa gialla. Un laccio strappato. Neve sporca di sangue. Un gruppo di bambini che guarda.
Il prologo di L’uomo del bosco inizia così, come una favola cattiva. Con un pozzo buio dentro il quale guardare e cadere. Subito dopo torniamo nel presente. John Glynn, geologo di fama mondiale e affermato scrittore di bestseller ha progettato e costruito un prototipo di sonda geofonica, il Sismotime che consente di rilevare i movimenti della terra a profondità mai raggiunte prima con la speranza di prevedere i terremoti. Dopo anni passati all’estero ha deciso di tornare in Italia, accettando una cattedra all’università della Tuscia e stabilendosi con la moglie e il figlio a Civita di Bagnoregio. Proprio lì, nella città che muore perché l’erosione se ne porta via cinque centimetri all’anno, John vuole portare a termine i suoi progetti. Inoltrandosi nei boschi per sistemare le sonde del Sismotime, John inizia un doppio viaggio: non solo l’esplorazione del sottosuolo, ma anche un viaggio nella propria memoria, occupata dalla morte del padre, geologo di acclarata fama morto per l’esplosione di un cunicolo in Belgio, e nel proprio subconscio, che ha rimosso molte cose. Ricordi sepolti per troppo tempo e che, come magma incandescente, cercano adesso di riemergere. John, tuttavia, non è il solo a scavare nel passato: poco lontano da lì, nel carcere Mammagialla, il commissario Rico Trivelli vuole capire cosa nascondesse il detenuto Caron, accusato di infanticidio e morto suicida lasciando uno strano messaggio. Mosso dall’istinto Rico, da sempre poco convinto della colpevolezza di Caron, è ostinatamente deciso a scoprire cosa si celasse dietro il suo ostinato silenzio. John e Rico, due uomini che stanno scavando in profondità, uno nella terra e uno nell’anima, non sanno che stanno per incontrarsi e che sono destinati ad arrivare nello stesso luogo. Perché a un certo punto John, uomo di scienza, dovrà fare i conti con la memoria e il destino. Razionale e irrazionale si incontreranno. L’uomo de bosco è costruito come un doppio: da una parte l’indagine scientifica nelle profondità della terra, dall’altra l’esplorazione delle profondità dell’animo umano. E a tutto sembra esserci una corrispondenza, una sorta di principio alchemico, così sotto, così sopra. Noi umani siamo fatti delle stesse energie che compongono l’universo, un uno inscindibile. Un microcosmo, quello umano, che appartiene al macrocosmo che ci circonda, il cielo e la terra. Paracelso diceva: Lo Spirito dell’Uomo viene dalle stelle, la sua Anima dai Pianeti, il suo corpo dagli elementi . E infatti Zilahy dice nel libro: ci sono tre grandi misteri da indagare, uno disperso nei cieli, uno celato nel ventre della terra, uno riposa nel cuore di ognuno. E uno dei personaggi dice anche che “tutto è connesso”. E per indagare in questi misteri l’autore ha costruito un libro sensoriale, pieno di immagini, colori e suggestioni che accompagnano e arricchiscono la narrazione, anche a livello inconscio. Da esperto linguista Zilahy non mette alcuna parola a caso, non solo per il loro significato ma anche per il suono, facendone una sorta di audio libro scritto. Numerosi sono poi i riferimenti letterari, da King a Stoker, da Conrad a Verne, esplicitamente citato con il suo Viaggio al centro della terra fino ad arrivare alle leggende dei celti e dei nativi americani. Un libro complesso, un viaggio negli abissi della memoria, una ricerca del nucleo rimosso dei ricordi e del passato che tanto peso hanno sul presente. E da lì, sciolti i nodi che ci tengono legati, si può cominciare a rinascere.
L’uomo del bosco – Mirko Zilahy
Cristina Aicardi