MilanoNera Intervista a Marcello Simoni in occasione dell’uscita suo nuovo libro La selva degli impiccati, Einaudi
Villon e la tua attenta, semplice e al tempo stesso coltissima ricostruzione della Parigi del 1463 mi hanno fatto apprezzare in modo particolare il tuo libro. Immagino però che gli ultimi passi del basso Medioevo francese non siano ben conosciuti in Italia. Grazie per questo approfondimento. Cosa ti ha spinto a fare di François Villon il tuo protagonista?
Ci sarebbe da “rovesciare” la domanda, ossia: Come avresti potuto resistere a non fare di François Villon il tuo protagonista? Ci troviamo di fronte non solo a uno dei più grandi poeti del basso Medioevo, ma anche a un personaggio che sembra uscito dalla penna di Robert Louis Stevenson (che non a caso gli dedicò un racconto, Un tetto per la notte). Villon infatti è “doppio”: un genio di enorme sensibilità ma anche un farabutto, un giocatore di dadi, un donnaiolo e forse un assassino. È ossessionato dal desiderio di vivere, di sperimentare la gioia in ogni sua forma, ma allo stesso tempo terrorizzato dall’idea della morte, dall’incombere di quella che lui chiama la Grande Impicchiera. Mi sono “innamorato” di lui fin dalle prime righe della sua commovente Ballata degli impiccati, che si dice egli abbia scritto in fondo a un pozzo.
Non trascuriamo inoltre l’ambientazione. Villon vive nella Parigi di Quasimodo, il Gobbo di Notre-Dame. L’ombra di Victor Hugo incombe dietro ogni angolo del mio romanzo.
Cosa hai amato di più di lui?
Villon è uno di quei soggetti che puoi solamente amare o odiare tutti interi. Del resto, perché spezzettare la perfezione?
E naturalmente domanda solo squisitamente letteraria, quale tra le sue opere ti ha toccato di più e perché?
Senz’altro la Ballade des pendus. Una poesia che tocca il cuore, ma che fa anche riflettere sul coraggio di un uomo che si pone senza filtri dalla parte dei criminali, dei peccatori impenitenti che a suo dire meritano, perché nati “sregolati”, la compassione del prossimo. Ma nel frattempo sembra voler alludere con una risata sorniona: sarà pur vero che sono un poco di buono, ma ho vissuto fino all’ultimo come mi pareva, seguendo le mie regole e non le vostre.
Se tu dovessi paragonare François Villon a un protagonista storico e letterario italiano a chi penseresti?
Che non esistono paragoni. Villon è unico. Come Long John Silver.
Parigi e la Sorbonne, quanto ha contato l’università in quei terribili anni di guerra fratricida?
Quanto contano tuttora la cultura e la libertà di pensiero. Sotto la grande pressa omologatrice della cattiva politica e delle calamità storiche (ne stiamo attraversando per l’appunto una), l’unica vera forma di ribellione è l’intelletto, quando si ha il coraggio di usarlo per la giusta causa. E a tal riguardo, gli studenti parigini non sono mai stati quello che si può definire un gregge mansueto. A differenza, si potrebbe aggiungere, della civiltà consumistica dell’Europa contemporanea, fin troppo “addomesticata” e abituata a pensare col cervello degli altri.
Che poteri aveva nella Parigi di allora il Prevosto?
Il prevosto rappresentava l’autorità del re entro i confini di Parigi. Amministrava le potenti corporazioni cittadine avvalendosi di un’ampia autorità giudiziaria cui erano sottoposte diverse magistrature minori, tra le quali il capo delle guardie cittadine, i luogotenenti criminali e i sovrintendenti alle carceri. Il 1463-64 è un anno molto particolare per questa carica, giacché la persona che la personificò per molti anni, il controverso Robert d’Estouteville citato nella ballate di Villon, viene sostituita per un breve periodo da Jacques de Villiers: colui che, per compiacere la moglie, spostò la sede del prevosto dal Grand Châtelet, presso i quartieri miasmatici della vecchia Beccheria, al palazzo del Louvre. Questa carica fu soppressa nel Settecento.
Che peso avevano a quell’epoca i Cavalieri di San Giovanni (o di Malta), nuovo ordine dei cavalieri a protezione della cristianità, dopo lo sterminio dei Templari?
L’ordine ospitaliero (altro suo nome) attrasse a sé tutte le energie e ricchezze andate disperse dopo la soppressione dell’Ordine del Tempio, a partire dalla sua sede parigina. Come metto in luce nella Selva degli impiccati, i Cavalieri di San Giovanni risiedevano infatti nel cosiddetto Quartiere del Tempio, presso la Grève, in una rocca vasta sei ettari, disseminata di chiese e di torri e cinta da un muro merlato che la rendeva imprendibile. Gli ospitaieri però furono anche una affascinante “porta” affacciata sull’oriente dei turchi e sull’isola di Rodi (si trasferirono a Malta solo nel 1530). La mia vena di narratore mi induce a pensare a loro, pertanto, anche come un importante tramite delle correnti magico-esoteriche orientali in Occidente.
Quanto ha cambiato la Francia l’avvento di Luigi XI?
La fine della guerra, verrebbe da dire. E lo scioglimento di diversi contingenti armati, con conseguente “disoccupazione” di molti miliziani che furono costretti a darsi al brigantaggio. Ma in maniera molto più spicciola, per Villon significò la grazia dal carcere a vita. Ecco perché questo poeta fu tanto devoto a quel monarca.
Due potenti figure femminili dominano il libro, solo raffigurazione del bene e del male? O invece?
Joséphine Flamant e Catherine de Bruyères sono donne medievali. Donne d’intrigo. Donne bellissime e spietate. Lasciamo il distinguo tra bene e male ai catechisti.
Un romanzo corale e profondamente storico, qual è la maggiore differenza a tuo vedere tra la Francia di quel periodo e la penisola italiana?
Ci troviamo in universi completamente differenti. Per via della mia formazione di medievista, io sono profondamente innamorato del Medioevo francese, che sembra perdurare, anche grazie alla spinta immaginifica di Victor Hugo, fin quasi al Cinquecento. In Italia, invece, il 1463 è già Rinascimento. Almeno sui libri di storia. E io con tutta quella “luce” ci vado poco a messa. Preferisco bettole, banditi e forche da impiccati.
E ora domanda d’obbligo, tuo prossimo progetto?
C’è un certo Ignazio da Toledo che si sta rimettendo in viaggio verso la Spagna del 1232…
MilanoNera ringrazia Marcello Simoni per la disponibilità
Le foto di Marcello Simoni sono di @Michele Corleone