Notturno salentino



Federica De Paolis
Notturno salentino
Mondadori
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“Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità”, l’invettiva di Andrè Gide, contro la famiglia, potrebbe essere un azzeccato sotto titolo per Notturno salentino, il bel romanzo psicologico di Federica De Paolis.
Famiglie: ortodosse e allargate, borghesi alcune al limite di una ipocrisia colpevole, inclusive di collaboratrici domestiche esotiche, ma non si sa fino a che punto fidate.
Livia Briganti e il compagno Boris Petrov hanno costruito da poco il loro nido estivo in Salento, tra gli ulivi di una terra su cui spira “un’aria azzurra”. Due figli ancora in età di asilo, due tate diverse: Cynthia, la morbida nigeriana, e Klara, l’intransigente polacca. Quest’anno però Boris non c’è, è volato a Shanghai per un lavoro che lo terrà lontano a lungo, e Livia è arrabbiata, di più, si sente vendicativa. Oltretutto, è costretta ad assistere agli sfacciati amoreggiamenti di Cynthia con Antonio Locandido, il bel fabbro che sta realizzando il cancello per il suo giardino. L’umore è cupo, si sente trascurata dal compagno, e decide di concedersi un doppio dispetto: alla coppia felice, nascondendo il cellulare di Antonio, e al compagno lontano, uscendo con un affascinante avvocato che la corteggia a una festa di amici comuni. Ripicche quasi infantili, peccati veniali, che invece innescano una catena di tragiche fatalità. Trascinata in un vortice di menzogne e sospettata lei stessa di un delitto – l’omicidio del bel fabbro rinvenuto cadavere nel pozzo del suo giardino, all’indomani della scappatella romantica con l’avvocato – Livia deve scavare nella vita di chi la circonda e nel profondo dei suoi stessi sentimenti per distinguere ciò che è autentico da ciò che è soltanto un ingannevole riflesso del vero.
In apertura ho usato con intenzione il termine “romanzo” e non thriller perché, se anche al centro del narrato un crimine esiste e un’inchiesta pure, la sensibilità e l’acume con cui l’autrice indaga i sentimenti e le loro conseguenze travalicano i confini della narrativa di genere.
Federica De Paolis è avvezza, del resto, a scandagliare con particolare intelligenza le cause e gli effetti delle umane interazioni. In Notturno salentino, come nei precedenti romanzi, la menzogna, l’amore, la maternità, la morte giocano con i protagonisti una partita crudele che si traduce in “paura, solitudine e alienazione”. Livia è sola a confrontarsi con un amore “ossidato dalla quotidianità” e deluso dai frequenti abbandoni del compagno, orfana per la morte di una madre amorevole di cui però subiva “il giudizio in modo quasi patologico”, tradita da amici sui quali contava per inserirsi tra le fila di quella ricca intellighenzia che aveva colonizzato il Salento fin dagli anni ‘70, “abitando masserie, torri saracene, trulli e pajare”. Una “Little Aristocracy”, quest’ultima, ora rintanata sotto le immense volte di case in cui domina il silenzio delle cattedrali.
Anche da quell’angolo di Puglia Livia si sente tradita, che pure ha vagheggiato per anni come luogo di vacanze idilliache – antica di terre rosse e di ulivi, di palme, di ville eclettiche, di nubi sospinte da venti caldi – ma che ora la respinge, ostile e meschina di forti pregiudizi razziali.
Isolata e assediata, da dubbi rimorsi sospetti, Livia è costretta a rivedere ogni suo legame – con la madre, il compagno, i figli, il fratello, gli amici, le collaboratrici – per trovare un nuovo senso al suo esistere, o forse per sopravvivere soltanto.
Notturno salentino è un romanzo di intensa e dolente sensibilità che indaga, ancor più che nelle ragioni e nelle dinamiche di un delitto, nelle aspettative deluse delle interazioni umane, nei bisogni insoddisfatti, negli egoismi non tacitati.
Lo sguardo di Federica De Paolis è accorto e vigile nell’esplorazione degli affetti famigliari, delle dinamiche di coppia, della maternità, e si esprime con particolare vigore nel ritratto di una femminilità variegata e complessa: la seduttività indolente di Cynthia e quella irriducibile di Ilenia, la spigolosa intolleranza di Klara, l’altezzosa fierezza di Dianora, la conturbante adolescenza di Miriam, la capricciosa insicurezza di Livia. Personaggi in altorilievo, tutti, declinati con convincente realismo, al femminile e al maschile.
Una scrittura piana, non compiaciuta ma puntuale, persuasiva nelle riflessioni interiori della protagonista come nel parlato dialettale del maresciallo Gravina o della domestica Tetella. Vivida nelle suggestioni ambientali: l’entroterra salentino, tra bianchi appannati e terre riarse; il silenzio di Cardigliano; gli insetti invasivi, nel commissariato di Specchia o nella lugubre “stanza delle mosche” di Violante Darrigo.
Federica De Paolis domina con maturità introspettiva e sguardo attuale le relazioni umane e la materia investigativa e regala al thriller una veritiera dimensione psicologica. Il confronto valica i confini nazionali e corre non solo alla recente Paula Hawkins, come già reclamato da altri, ma alla grande P. D. James.

Giusy Giulianini

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