Perdenti: una storia contemporanea. Intervista a Gianluca Ferraris


Perdenti, la prima indagine dell’avvocato Ligas, Piemme, è il nuovo romanzo di Gianluca Ferraris, da pochi giorni nelle librerie. Un protagonista tutto nuovo in una Milano piena di ombre.
Dopo il giornalista Gabriele Sarfatti, l’avvocato Lorenzo Ligas. Perché hai scelto un avvocato come protagonista della tua nuova serie e non il solito investigatore o poliziotto?
Cerco sempre di seguire due regole auree: lo “scrivi soltanto di ciò che sai” coniato da John Steinbeck e la necessità di offrire al lettore spunti realistici. Se per i primi romanzi ho scelto un protagonista che avesse caratteristiche più simili alle mie, stavolta puntavo a cambiare orizzonte. 
Un io narrante come quello dell’avvocato, con tic e debolezze molto contemporanei ma anche un po’ chandleriano, se mi passi il termine, mi pareva più credibile e più libero di muoversi sulla scena del classico sbirro tutto d’un pezzo, che negli ultimi tempi è anche parecchio inflazionato…  E poi il legal thriller è uno dei miei sottogeneri preferiti: cimentarmi con quel meccanismo narrativo, che è leggermente diverso dal giallo classico, mi pareva una bella sfida.

Ligas si definisce cinico e fuori fuoco, alcolista e capace di rovinare tutto quello che tocca. I personaggi che partono come perdenti sono più interessanti da scrivere e da leggere?
Dal mio punto di vista sì, a patto naturalmente che l’effetto finale non sia macchiettistico. Quelle di Ligas, ma anche degli altri protagonisti del romanzo, sono caratteristiche da perdente comune: persone con una vita qualsiasi, a tratti persino banale, all’interno della quale a un certo punto qualcosa si spezza trasformandone il percorso in una parabola discendente. Alcolismo, cinismo, rapporti sociali difficili, sesso occasionale sono i sintomi di un declino che può trasformarsi in redenzione o al contrario degenerare in episodi da cronaca nera: lo vediamo ogni giorno, purtroppo. Ed era questa la dinamica dalla quale intendevo partire.

In tutti i tuoi libri la descrizione di Milano è abbastanza oscura e impietosa, cosa salveresti, invece?
Milano è ancora, in molti suoi aspetti, una città ospitale e ricca di possibilità. Mi ha messo in condizione di fare quello che sognavo, quindi non la detesto. Diciamo che i miei personaggi si permettono di osservarla con uno sguardo più incattivito rispetto al mio, ma che comunque ha diritto di cittadinanza. La botta del Covid dopo anni di crescita esibita anche con una certa spocchia, secondo me, ha mostrato i limiti di una città che fatica ancora a disegnare per sé un futuro, soprattutto dal punto di vista sociale. Anche le persone mi sembrano più indurite. Non voglio generalizzare, ma c’è tutto un mondo di valori, ambizioni e gesti solidali che mi pare in caduta libera. Ambire a essere la Londra o Berlino del 2030 è un’ambizione legittima, e offre  parecchie opportunità: sociali, lavorative, anche di crescita umana. Ma se ci arrivi nel modo sbagliato rischi anche di ripetere e amplificare gli errori madornali del passato: gli stessi errori: gentrificazione, affitti alle stelle, aumento delle diseguaglianze, isolamento e criminalizzazione delle periferie e così via. Sono gli stessi elementi che provo a trasferire nei miei libri, anche se la mia percezione, ripeto, è più benevola rispetto a quella di Ligas oggi o di Sarfatti ieri.

Sei genovese di nascita e milanese di adozione, non hai mai pensato di ambientare un libro a Genova? In fondo ha tutte le caratteristiche della città noir.
Vivo a Milano da quasi 20 anni, ormai, qui è avvenuta la mia maturazione lavorativa e di questa città conosco meglio le dinamiche, criminali e non. In passato ho ambientato a Genova un racconto breve (Black, contenuto nell’antologia Liguria criminale di Novecento editore, ndr), ma non sono sicuro che un romanzo intero sia nelle mie corde. Però concordo con te che il contesto sia adattissimo, e un giorno o l’altro mi piacerebbe inventarmi un noir mediterraneo alla Izzo dove la città si erga a protagonista: non ho ancora trovato lo spunto giusto, ma mai dire mai. 

Il citazionismo di Ligas e la sua passione per i brand, per la Settimana Enigmistica e per le serie crime ti appartengono?
I brand sono un tributo ad American Psycho e un indicatore di quella cultura dell’apparire che fa un po’ parte del mondo precedente di Ligas. Insieme al citazionismo compulsivo sono uno strumento per sottolineare, ma anche alleggerire, una delle caratteristiche principali del protagonista, che è il leggero autismo. La passione per la Settimana Enigmistica e per le serie crime, invece, mi appartiene al cento per cento, e durante la stesura del romanzo una delle cose più divertenti è stata proprio riuscire a inserire entrambi gli elementi nella trama senza che risultasse forzato farlo. 

Come Ligas, anche tu sogni di dare ancora la maturità?
Negli ultimi tempi in realtà sogno più spesso di dover ridiscutere la tesi di laurea. Sarà un effetto dell’età che avanza… Nei panni del liceale non sono più credibile neanche in sogno!

Cosa ti mette ansia?
Un mucchio di cose: ingrassare, perdere lucidità, perdere il lavoro, le riunioni troppo lunghe, le medicine, quelli che ti salutano senza che tu li riconosca, il mio conto in banca, l’idea di tenere addosso la mascherina per chissà quanto altro tempo, le villette con giardino in Brianza, il politically correct troppo spinto. Tutta roba che però tengo alla larga dai miei libri, visto che di gente che scrive delle sue fobie sono già pieni gli scaffali.

In tribunale Ligas incontra i tre migliori giornalisti della città: Enrico Radeschi,Steno Molteni e Gabriele Sarfatti, che altri non sono se non i protagonisti dei libri tuoi, di Paolo Roversi e Franco Vanni. Ti piacerebbe  farli lavorare insieme in un futuro?
Un piccolo tributo a due scrittori che amo e che sono anche buoni amici. L’idea mi era venuta un paio d’anni fa, quando io, Paolo e Franco partecipammo a una tavola rotonda intitolata La Milano dei cronisti di nera. Quando poco dopo mi sono trovato a dover scrivere una scena dove Ligas interagisce con i giornalisti, mi sono detto: perché inventarsi dei nomi quando puoi attingere direttamente da altre fiction? Non mi dispiacerebbe far incontrare di nuovo Sarfatti, Radeschi e Molteni, ma è oggettivamente molto difficile, e non dipende solo da me. Però sono sicuro che farebbero scintille!

Nel libro la polizia non ha un comportamento esemplare, ti sei ispirato a recenti casi di cronaca?
In parte sì. Uno in particolare, del quale ripercorro, romanzandola, la parte iniziale dell’indagine. Ma non posso dirti di quale caso si tratta perché sarebbe uno spoiler… In generale, comunque, la cronaca è sempre un’ottima fonte di ispirazione.

Se come Ligas dovessi adottare un vocabolo in via d’estinzione, quale sceglieresti
Te ne dico due: uggioso e fuggevolezza. Le adoro: anche se ormai entrambe sono quasi del tutto confinate ai libri, hanno una carica poetica fortissima. Io cerco di usarle più che posso.

Ligas è un idealista, c’è ancora spazio per l’idealismo oggi?
Molto poco. Ma se non glielo troviamo, questo spazio, almeno nei romanzi, non so che campiamo a fare.

Sei un giornalista, ma come ti sei avvicinato alla narrativa e perché proprio al giallo/noir?
È il genere che amo più di ogni altro da lettore, e per essere uno scrittore almeno decente devi prima essere per forza un lettore avido. Come molti giornalisti ho iniziato scrivendo saggistica, ma dopo qualche anno mi è venuta voglia di cimentarmi con qualcosa di diverso. Le dinamiche non sono così diverse, soprattutto se hai fatto cronaca. Rispetto al lavoro giornalistico puro, però, cambiano due cose: la prima è che il mio punto di vista è meno distaccato, la seconda è che posso permettermi variazioni anche significative dal punto di vista narrativo. Il noir è ormai uno degli strumenti principali di denuncia di determinate realtà: non bisogna più inventarsi nulla, perché è la cronaca a offrirci quotidianamente storie ai dettagli così violenti che superano di slancio la fiction. Altre volte, come provo a fare anche io, i due ambiti finiscono per contaminarsi, anticiparsi e “raccontarsi” a vicenda. In fondo lo scrittore è sempre stato un osservatore e una sorta di “filtro” fra la contemporaneità e la pagina, e alcuni degli scrittori che più amo, da Scerbanenco a Buzzati, sono stati anche ottimi giornalisti.

Per chi e perché scrivi? 
Per me, prima di tutto: non credo a quasi nessuno dei luoghi comuni che circolano sulla scrittura, tranne al fatto che sia mostruosamente terapeutica. Poi, certo, tutti abbiamo bisogno di un pubblico che ci legga e tutti, chi più chi meno, cerchiamo di tenerne conto. Ci confrontiamo con un mercato che è piccolo, difficile e umorale: l’unico modo che conosco per non uscirne è scrivere libri onesti, piacevoli e che possibilmente lascino qualcosa a chi li legge. Poi se vuoi possiamo metterci a discutere per ore di letteratura «alta» o «bassa», ma i protagonisti di una narrazione che pretende di essere contemporanea dovrebbero calarsi nel contesto in cui vivono: quindi è ovvio che parlino, ragionino, mangino e agiscano in un certo modo. Nei bar e sui tram la gente non conversa come nei romanzi che vincono lo Strega: forse poi è per questo che non li compra.

Se ti invitassi a mangiare quinoa accompagnata da un succo di melograno e da una puntata di Squadra speciale Stoccarda, accetteresti?
Tra le squadre speciali tedesche preferisco Lipsia, ma su questo potrei anche glissare. Anche il melograno è ok, ma la quinia proprio no! Del resto pure Ligas non la ama…

Mi consigli 3 libri?
Sono un lettore onnivoro che vive di fasi alterne: le uniche cose di cui potrei fare davvero a meno nella mia libreria sono le inchieste fatte copiaincollando verbali, una cospicua fetta degli scrittori sudamericani, la letteratura erotica e quella in cui compaiano fate, elfi, maghetti, nanetti, vampiri e dimensioni parallele. Quindi i primi due titoli che ti consiglio sfiorano soltanto il genere noir, ma mi hanno colpito comunque tantissimo per atmosfera e ambientazione: Nulla si perde di Chloe Mehdi, (e/o), un affresco pazzesco della periferia francese contemporanea, e Il più grande criminale di Roma è stato amico mio di Aurelio Picca (Bompiani), proposto all’ultimo Strega. Restando più ossequiosi al genere, invece, la migliore lettura di questi mesi è stata senza dubbio Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi (Rizzoli). 

MilanoNera ringrazia Gianluca Ferraris per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a Perdenti, Piemme.

Cristina Aicardi

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