Profondo nero



sandra rizza e giuseppe lo bianco
Profondo nero
chiarelettere
Compralo su Compralo su Amazon

27 ottobre 1962. E’ una brutta sera. Piove da ore e c’è turbolenza. Un contadino di Bascapé, microcentro rurale nella campagna pavese, si appresta a cenare quando ode dapprima uno scoppio e poi un boato. La cosa sul momento non lo allarma perché è in atto un furioso temporale. Solo più tardi, quando saprà che un piccolo ma solidissimo aereo privato, un Morane-Saulnier MS-760 di proprietà dell’Eni, è precipitato lì vicino con a bordo tre persone fra cui il presidente Enrico Mattei, capirà a cosa fossero dovuti quei boati in successione. Del resto, bastava una sola occhiata al luogo della sciagura per capire che l’aereo che si è schiantato a poche centinaia di metri dalla sua proprietà, proiettando rottami, schegge e brandelli di carne umana fin sulle cime degli alberi, non è stato vittima di un cedimento strutturale. Nessun incidente: l’aereo è esploso in volo. Ho sentito un’esplosione… dirà subito dopo. Ma poi smentirà tutto. Ricompensato, o più probabilmente minacciato, l’uomo si cucirà la bocca, adeguando la propria testimonianza alla versione ufficiale.

16 settembre 1970. Notte. Il giornalista Mauro de Mauro del quotidiano l’Ora di Palermo è nel pieno di un’indagine. Su incarico del regista Franco Rosi, sta raccogliendo materiale per il film-dossier Il caso Mattei (1972). Quella sera rincasa tardi. La moglie e la figlia lo sentono parcheggiare l’auto sotto casa, ma lui non arriva. Dalla strada proviene un brusio di voci. Poi, il rumore di un’auto che si avvia. E’ un sequestro in piena regola, ma senza alcuna richiesta di riscatto. Il corpo di De Mauro non verrà mai ritrovato mentre le indagini saranno lacunose e volutamente annacquate. In seguito si saprà che il cronista aveva raccolto confidenze riservate sulle ultime ore di Mattei. Il presidente, già da tempo oggetto di pesanti minacce, era stato attirato in Sicilia con un pretesto e proprio nel viaggio di ritorno da Catania il suo aereo era caduto. Le confidenze raccolte da De Mauro non collimavano con la versione ufficiale del cedimento strutturale dell’aereo. Non solo, ma da certi appunti, che non furono presi in considerazione nel corso dell’inchiesta, si sarebbe potuto configurare da subito un mostruoso complotto di Stato.

2 novembre 1975. Un’altra bruttissima sera. Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più lucidi, più coerenti e più acuti che il nostro Paese abbia mai avuto dal dopoguerra a oggi, viene massacrato di botte e poi investito ripetutamente con la sua stessa auto in un campo di calcio nei pressi dell’idroscalo di Ostia. Pasolini è omosessuale dichiarato e della sua morte si autoaccusa un ragazzetto: Pino Pelosi detto Pino la Rana. I carabinieri lo fermano mentre sta guidando come un matto l’auto di Pasolini e lui crolla subito, accollandosi la responsabilità dell’omicidio.
Voleva da me certe cose. Ho perso la testa e l’ho ucciso. E’ questa la versione ufficiale che viene servita  al grande pubblico che si mette subito il cuore in pace: Pasolini amava appartarsi con i ragazzini e alla fine ha trovato quello che si meritava.
Caso chiuso.
In realtà lo scrittore prima di morire stava raccogliendo materiale per il suo libro d’inchiesta “Petrolio” destinato a diventare un film, in cui sarebbe entrata di prepotenza la sciagura aerea di Bascapé. Però nessuno ci fa caso.  E soprattutto nessuno, a parte i pochi veri amici di Pier Paolo, si chiede dove sia finito il grosso dei suoi appunti fra cui quello contrassegnato col numero 21: Lampi sull’Eni, citato ripetutamente da Pasolini nelle sue carte.
Petrolio, se avesse visto la luce sotto forma di libro e di film, sarebbe stato “il romanzo delle stragi”. “Il primo romanzo della letteratura italiana che si trasforma in documento di denuncia per smascherare la natura perversa e assassina del potere in Italia”, scrivono gli autori di Profondo nero a pag 237. E, ancora: “Pasolini è il primo (e finora l’unico) a collegare esplicitamente l’attentato Mattei alla strage di Piazza Fontana” (ibid.). Sulla morte di Pasolini, all’epoca frettolosamente e vergognosamente archiviata come “una faccenda fra froci”, dopo la confessione di Pelosi in televisione del 7 maggio 2005 si sono riaccesi i riflettori. “Non è stato un incidente. Pier Paolo fu giustiziato. Qualcuno aveva deciso che dovesse morire” dichiarò quello stesso  giorno Sergio Citti a un giornalista del Corriere della Sera (dichiarazione riportata a pag. 191 del libro).

A riallacciare i capi del filo nero che lega fra loro gli omicidi di Mattei, De Mauro e Pasolini e molti altri episodi oscuri del nostro passato recente, a spiegare attraverso documenti e testimonianze perché tutte e tre queste vittime tre furono tolte di mezzo essendo ostacoli sul cammino di chi voleva portare il paese verso una certa direzione, sono, ancora una volta, due giornalisti.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza in questo libro d’inchiesta intitolato Profondo Nero si propongono non solo di fare luce sui tre omicidi, ma anche di triangolarne le motivazioni, dando una lettura, certamente non nuova ma finalmente completa, anzi, panoramica, di una realtà i cui frammenti avrebbero composto il puzzle nero, anzi, nerissimo  della nostra storia molti anni fa, forse salvando parecchie vite umane, se purtroppo coloro che all’epoca stavano nelle stanze dei bottoni non fossero stati animati dalla volontà precisa di disperderne le prove e testimonianze nel mare magnum della disinformazione e dei depistaggi.
Un libro assolutamente da leggere se si vuole capire perché oggi siamo dove siamo e come ci siamo arrivati.

adele marini

Potrebbero interessarti anche...