Rumble Tumble



joe r. lansdale
Rumble Tumble

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Leonard è nei pasticci. Dopo che un tornado si è portato via la casa di Hap, questi si è trasferito a casa sua, lui e i suoi vizi, ivi compreso quello di seppellire le mutande sporche sotto il divano. Così quando alla bella (e pericolosa) Brett, che di Hap è l’innamorata, salta in mente di chiedergli di trasferirsi da lei, a Leonard pare che finalmente le cose inizino a camminare per il verso giusto e insiste perché l’amico si decida una volta per tutte. E forse la faccenda si sarebbe chiusa in questo modo, non fosse che Brett viene contattata da un nano di pelo rosso e modi ambigui e dal suo voluminoso compare. I quali per certi loro tornaconti e un po’ di dollari la mettono al corrente di questa cosa, che sua figlia Tillie desidera davvero tanto sottrarsi alle grinfie del terribile Big Jim, nelle file della cui organizzazione essa milita, per dir così, prostituendosi in un bordello di Oklahoma. Si tratta di andarla a prendere, e l’impresa non è semplice, perché a Big Jim e alla sua banda non piace che gli vengano rubate le cose e succede che alle volte sparino. Ma tant’è, Brett non può essere lasciata sola nell’impresa, e così Hap, per amore di lei e per non tornare su quella cosa del trasloco che gli puzza parecchio, decide di aiutarla. Altrattanto fa Leonard, preoccupato invece che con tutto il casino l’amico non gli si levi più di torno. Inizia così Rumble Tumble, uno dei capitoli più godibili della serie che Joe Lansdale ha dedicato alle imprese della sua strampalata coppia di investigatori: il bianco, intellettuale triste Hap, e il nero, omosessuale e reazionario Leonard. Il romanzo è scritto benissimo e Alfredo Colitto nel tradurlo deve essersi divertito parecchio. Si ride molto senza che venga mai interrotto l’incedere di una vicenda che fila dritta sparata verso il finale. Un duello naturalmente. Perché se è vero che la storia cammina svelta e al lettore non viene data tregua, in un susseguirsi di vicende e personaggi talmente estremi e numerosi da far ritenere che la rinuncia ad uno o due di essi avrebbe risarcito in chiarezza quanto levava in varietà, i suoi protagonisti vivono invece in una dimensione in qualche modo epica, atemporale. E per le ragioni futili che li spingono a muoversi, per il loro rassegnarsi al destino ma non a vendere cara la pelle (“Non cambia nulla. Io l’ho fatto per te, tu l’hai fatto per lei perché pensavi di doverlo fare, e così l’abbiamo fatto. Ora è tutto finito. Cosa vuoi, una sfilata in costume per tirarti su il morale?“), infine per quell’ostinato tentativo di dare sostanza, con gli atti, a un senso della giustizia spesso malinteso, essi paiono divinità neglette, scivolate nel pantano di una realtà popolata non da buoni e nemmeno da cattivi, ma solo da infelici.

gabriele zauli

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