Terrarossa, l’ultima fatica letteraria di Gabriella Genisi, è diversa da tutte le altre. Come sempre legata alla realtà, questa volta racconta una realtà quasi “in tempo reale”. Sia nelle prime pagine quando inquadra la Bari del primo lockdown, sia dopo quando entra nel vivo del racconto noir e di una storia che non si risolve del tutto nel libro e che nella realtà è tutt’altro che sconfitta, ovvero la mafia e il caporalato. Intanto Lolita ci sembra più risolta, quasi più malinconica e a volte stanca di indagare su morti assurde di donne e questa volta su un fatto troppo più grande di lei, comunque esperta di delitti efferati. Il caporalato, la schiavitù moderna dei braccianti nella Terra della Capitanata, così lontana e allo stesso tempo vicina a Bari, è il sottofondo di un delitto che rimarrà in parte irrisolto. Così come è irrisolto il problema della mafia in quella terra, forse troppo più grande persino di Lolita Lo Bosco.
La vicenda è avvincente: Assunta, detta Suni, Digioia, è un’imprenditrice 2.0, proprietaria dell’Azienda agricola Terrarossa. Tra le chiacchiere della gente e le verità sulla sua figura la scrittrice ci porta a conoscere questa donna forte e bella che si ribella ad un sistema arcaico duro a morire. E ne viene purtroppo travolta. Un omicidio ammantato da suicidio che Lolita scopre subito proprio studiando la vittima e il suo amore per gli altri e la sua lotta alla mafia. E il commissario tutto d’un pezzo, che rinuncia persino ai pochi giorni di ferie a ferragosto per scoprire il colpevole, lo capisce bene perché lei assomiglia al suo stesso personaggio, così come Gabriella è dentro Lolita stessa. La scrittura è più matura e puntuale del solito e le descrizioni dei luoghi sono accattivanti e invitanti come quelle dei piatti, come sempre, immancabili anche quando si tratta di due frise con la burrata e il piatto azzurro di ceramica. Insomma, una Genisi che, come sempre, non delude mai.
