Ti prendo e ti porto via



Niccolò Ammaniti
Ti prendo e ti porto via
Einaudi
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Preparati, perché quando passo da Bologna ti prendo e ti porto via.
Un antico proverbio arabo recita che il libro è un giardino che puoi custodire in tasca: diffonde profumi, mostra colori, vibra di emozioni e sentimenti; offre bellezza e ristoro a chi decide di percorrerne le vie e immergersi nei sui mondi. Non solo storie, ma interi e complessi microcosmi umani ne rappresentano la varietà delle tinte e da essi si muovono una molteplicità di stimoli sensoriali capaci di avvolgere il lettore, inebriandolo con l’intensità delle suggestioni che le sue pagine racchiudono.
Ti prendo e ti porto via  ha il merito di concretizzare – con perspicaci  pennellate – ognuna di queste prerogative, restituendo una realtà vivida, energica, ricca di impressioni e carica di effetti e sfumature lussureggianti. Paradossale, eccessivo, estremamente caricaturale, attraverso i bizzarri toni di ognuna delle sue voci Ti prendo e ti porto via mischia risate e dramma e riesce a esercitare un’attrazione a cui è impossibile sottrarsi.
A Ischiano Scalo… si svolgono due storie d’amore. Pietro e Gloria sono due ragazzini. Lei è figlia di un direttore di banca, è sveglia, bella e sicura di sé. Lui è figlio di un pastore psicopatico, è introverso, sognatore… Graziano Biglia è tornato a Ischiano, con la sua fama di chitarrista sciupafemmine e il cuore spezzato da una cubista. Qui conosce la professoressa Flora Palmieri, una donna sola e misteriosa che ha rinunciato alla propria vita per prendersi cura della madre. E tra i due, in apparenza lontani come i pianeti di due galassie, nasce un’attrazione.
Ma non lasciatevi ingannare dalla sinossi, il libro di Niccolò Ammaniti non racconta solo due storie d’amore, ma è – su tutto – il luogo di una commedia umana drammatica e, quanto mai, fedele a un universo di miserie e di abbrutimento morale, che prende forma in ciascuno dei personaggi dipinti, con estrema sapienza e maestria, dall’autore.

La famiglia Moroni assomigliava un po’ a quelle popolazioni delle isole dei mari del Sud che vivono in uno stato di perenne apprensione, pronte ad abbandonare il villaggio appena riconoscono in cielo i segni premonitori dell’uragano. Allora filano a rifugiarsi nelle grotte e lasciano che le forze della natura si scarichino. Sanno che il fortunale è violento ma di breve durata. Quando finisce, tornano alle loro capanne e con pazienza e filosofia rimettono in piedi quelle quattro assi che gli servono a coprirsi la testa.

Dialoghi brillanti: talvolta forti e brutali, e di frequente esasperati, sono autenticamente coerenti con quella  folla di creature strambe e grottesche che ritrae l’anima profonda del romanzo. Una rappresentazione e una capacità di ricostruire l’indole e la fisionomia di tutti i protagonisti  – principali e non – tanto perfetta da rendere ognuno di loro più che il  semplice interprete di una storia di fantasia: gli attori che recitano la sceneggiatura di Ammaniti sono vere e proprie persone. Di essi avverti tutta la dimensione emotiva. Le bassezze e gli slanci dell’anima. I sentimenti positivi e la morale incancrenita. Le pulsioni. I vizi. Le tare.

«La jeanseria» sussurra estasiato Graziano a occhi chiusi.

Ecco che cosa c’è nel suo futuro!

Lo ha visto.

Una jeanseria.

Quella donna.

Una famiglia.

E basta con questa vita randagia, con le stronzate fricchettone, basta con il sesso senza amore, basta con la droga.

Redenzione.

Ora ha una missione nella vita: conoscere quella ragazza e portarsela a casa perché la ama. E lei ama lui.

Insieme a ognuno dei personaggi anche noi sorridiamo, soffriamo, sogniamo e sarà così che avvertiremo i palpiti del cuore di Flora, quando, dopo un’esistenza di rinunce, crederà di poter agguantare la pienezza di una vita che finora le è stata negata: piangeremo con lei – e per lei – scossi dal rimpianto per ciò che non si è potuto compiere.

Era pericoloso abbandonarsi alle fantasie. Flora si era indurita per resistere ai colpi della vita, ma sospettava di essere fragile a certi urti.

Col suo umorismo amaro, sagace, lacerante, estremo, ma in nessun momento casuale, l’autore ci prende e ci porta in una realtà in cui – ci renderemo, purtroppo, conto – non c’è speranza di riscatto; un umorismo mai superficiale, ma che diviene strumento inclemente col quale invadere e indagare il microcosmo sociale e precario di Ischiano.

Quanto sfregia l’animo umano diventa un fardello da cui non ci si può affrancare: i personaggi sono deformi e  rimangono soggiogati dalle loro deformità. Il solco che la vita ha tracciato per il loro cammino è troppo profondo: illusorio ogni tentativo di uscire da quel binario.  Tuttavia in questo quadro di angoscioso avvilimento, forse, non tutto è perduto; forse è possibile vincere la battaglia impari tra quello che siamo e quello che dovremmo essere. Bisogna crederci. È necessario essere pronti a fare scelte coraggiose e all’apparenza distruttive: è necessario imparare che le promesse sono fatte per non essere mantenute.

 

Mariella Barretta

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