Un’estate di polvere – Barbara Ghedini



Barbara Ghedini
Un’estate di polvere
Damster
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L’uomo nero è quella figura inquietante che, dalla notte dei tempi, terrorizza i sogni dei bambini. Una sagoma indistinta che si staglia all’improvviso sulla porta della stanza, un rumore indistinto, una minaccia: tanto ti prendo!

Il primo romanzo di Barbara Ghedini Un’estate di polvere (I Gialli Damster, giugno 2023) ruota attorno a quel che di inspiegabile accade a un minore, troppo oscuro per essere focalizzato. Una mente perversa che agisce nell’ombra, un orco a cui si stenta a dare un’identità, che si muove in una cittadina dove si conoscono tutti e nessuno è in realtà quel che sembra.

Nata a Reggio Emilia, l’autrice si era cimentata con successo in racconti lunghi inseriti in prestigiose antologie, ma è con questo noir che si farà conoscere al suo pubblico, avendo vinto la sezione romanzi del concorso Giallo Festival 2023.  

Due cose attraggono subito, in questa storia. Il commissario c’è, ma è ai margini. A investigare nel concreto è Diana Ferri, otto anni. Una bambina curiosa e brillante, nipote del proprietario della fabbrica di pennelli del modenese, luogo in cui avviene il barbaro omicidio della bella operaia Regina. Siamo nell’estate del 1976, cosicché alla vicenda delittuosa si unisce quel pizzico di nostalgia per un tempo andato e che parecchi hanno avuto la fortuna di vivere direttamente. 

Al piacevole tuffo nel passato di quando la Rai trasmetteva lo sceneggiato Sandokan, al cinema si poteva assistere a una proiezione di Via col Vento, in edicola si faceva la fila per acquistare Topolino, si unisce una tematica dolorosa, che è invece sempre attuale. Ovvero che spesso i bambini vengono delusi dagli adulti, incapaci di proteggerli perché troppo indaffarati col loro lavoro.

Barbara Ghedini mette in scena una trama articolata, ricca di personaggi che sa caratterizzare in modo sapiente. Il tutto chiuso in un microcosmo che è quello della fabbrica, col suo personale e i segreti che aleggiano tra le varie stanze. Che a sua volta s’infrange su quelli che sono i peccati indicibili di un’intera cittadina, tanto da restituire un aspetto claustrofobico, dove si avverte distintamente lo stato di pericolo in cui verte Diana, l’unica a volere andare fino in fondo. “A cosa servivano poi i grandi se quando avevi bisogno non ti aiutavano? Forse avevano anche loro paura, paura di ascoltare cose brutte e scomode, paura di essere invischiati nei problemi degli altri. O forse era solo la superficialità. Ai bambini non si dà peso. I bambini non hanno peso.”

E mentre il mulino del vicino consorzio soffia polvere giallina sulle case e sulle strade, i morti aumentano. Un orco fa sparire i bambini e Diana teme sempre più per la sua incolumità.

La dimensione onirica gioca un ruolo preponderante, in questa storia. I capitoli brevi, costituiti da dialoghi evocativi, con frasi lineari, rispecchiano quella che è la visione di una ragazzina di otto anni, per cui il racconto risulta totalmente credibile. Rincorrendo i suoi incubi, Diana riesce a esplicare l’orrore che la sta attanagliando, poiché testimone di morti violente e spettatrice involontaria di scomode realtà.

Fino a quando i tasselli andranno tutti al loro posto e l’identità di chi è colpevole verrà svelata.

Davvero brava l’autrice a ricostruire l’atmosfera di quegli anni, in un romanzo consigliato a chi ama il genere, soprattutto se inserito in un contesto passato. Gli estimatori di Profondo rosso, per dirne una, ringraziano.

Cristina Biolcati

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