Il vangelo del boia



Nicola Verde
Il vangelo del boia
Newton Compton
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Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, era il “boia papalino” e, a ottantacinque anni suonati, continuava a servire fedelmente il Pontefice e lo Stato della Chiesa. Temuto, ammirato ma al tempo stesso segnato a dito dal popolo. L’esercizio per settanta anni della sua “onorata professione” infatti l’aveva costretto a risiedere nel vicolo di Campanile, nel quartiere di Borgo, vicino al Vaticano dove mandava avanti la sua bottega di ombrellaio e, le poche volte che voleva passare il ponte, doveva farlo quasi di nascosto per non allarmare i romani con la sua presenza.
Anche un boia, però, aveva la sua dirittura morale. Mastro Titta eseguì in territorio pontificio tutte le sue condanne o meglio le sue “giustizie”, sempre secondo precise regole e a fronte di una sentenza di tribunale. (Giustizie che quando se ne andò in pensione erano 514 . In realtà sul suo taccuino, Bugatti annotò ben 516 nomi  di giustiziati ma dal conto bisogna levarne due , perché uno fu fucilato e l’altro impiccato e squartato dall’aiutante).
E il 17 agosto 1864, nel corso di una doppia esecuzione, proprio mentre Mastro Titta stava alzando le due teste appena mozzate, credette di intravedere tra al folto pubblico un qualcosa che sperava dimenticato e che invece forse tornava dall’aldilà… E allora tremò. Ma perché mai ? Insomma cosa provocò la fine della gloriosa carriera del più famoso boia romano?
Tutto era cominciato nel 1861, con l’uccisione di un gendarme papalino, la cattura e la condanna a morte di un innocente e, un paio di mesi dopo, con il macabro ritrovamento di due cadaveri tirati fuori dal Tevere in condizioni raccapriccianti e divorati dai topi.  E  in più uno dei due era addirittura privo di testa.
Questi due fatti apparentemente senza legami fra loro, dettero il via a una spaventosa serie di eventi in grado di sconquassare la Città Eterna.
A istruire e guidare il processo del primo e ad annacquare le indagini del secondo fu il giudice della Sacra Consulta Eucherio Collemassi. Un personaggio laido e viscido, connesso con sette sataniche, che intendeva  avvalersi di certe false rivelazioni di Costanza Vaccari in Diotallevi, una giovane donna dalla discutibile moralità, che si era andata a cacciare in contatti e intrighi di potere più grandi di lei, per colpire il segretario di Stato Antonelli. Orrende cerimonie segrete e complotti clandestini che servivano come paravento. E fu proprio il bel volto di Costanza, così simile a quello di Benedetta, mai dimenticato primo amore, a invischiare Mastro Titta in una torbida vicenda dai contorni misteriosi. E come un  fantasma, un dannato appuntamento con la memoria, fu proprio quel volto che, tre anni dopo,  riuscì a  far tremare la mano del vecchio boia.
In una Roma sconvolta da omicidi, misteri e guerre intestine portate avanti senza esclusione di colpi  nel segreto delle stanze vaticane, verità storiche e scandali ben calibrati dalla fantasia di Nicola Verde riescono a regalarci quello che fu il clima dell’Urbe alle soglie di un cambiamento epocale.
Per concludere mi piace citare le ultime note del’autore dopo la fine del libro: «Qua e là, dunque, ho un po’ forzato la mano sugli eventi storici, in qualche caso li ho leggermente anticipati, in qualche altro posticipati, il tutto per coerenza narrativa.
Il romanzo storico tenta di ricucire i buchi della grande tela della Storia. Mi viene in mente il film Jurassic Park, dove i dinosauri vengono clonati utilizzando il loro dna prelevato da una zanzara completandolo con quello di una rana. Un narratore fa più o meno la stessa cosa: utilizza la realtà storica, completandola con una realtà fittizia.», una ricostruzione di un mondo di allora fatta di luci, ombre e un’ambientazione scenica curatissime, basate su documentazioni inconfutabili. Romanzo decisamente interessante. Da leggere!

Patrizia Debicke

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