MilanoNera incontra Giuliano Pasini che col suo romanzo d’esordio ha scalato le classifiche

Che effetto ti ha fatto esordire col botto? Te lo aspettavi?
Un tizio diventato precocemente calvo, con la barba, scrive chiuso nel suo stanzino, per giorni mesi, anni. Sempre all’alba, sempre dalle 5 alle 7. Certi periodi è magro, certi altri ingrassa. Scrive una storia legata alle sue radici, alla sua terra, alla sua famiglia. La veste di giallo ma le fa indossare anche un po’ di nero. E non sa se sta scrivendo per sé o per essere pubblicato. Sa solo che gli piace raccontare storie. Poi, un giorno, finisce il romanzo. Lo fa leggere alla moglie (mai fare questo errore, lo ha sentito da qualche parte: i parenti sono troppo teneri nei giudizi). Tutti i parenti sono teneri, tranne uno, anzi una. La moglie lo stronca, ma lo incita a continuare, lo sostiene sempre. Altre sveglie, altri caffè. Altri mesi, altri anni. Il romanzo è finito. Arriva in fondo a un torneo letterario importante, suscita l’interesse di un editore importante. Esce, va bene. Finisce in classifica. La prima tiratura è alta, ma si esaurisce in fretta. Seconda, terza, quarta pure. In pochi mesi si arriva alla quinta.
Ecco la sinossi di quel che mi è successo. Non me lo aspettavo, non ci credevo. Non ci credo ancora. Penso sia accaduto a un mio omonimo. Vivo dissociato le mie giornate, tra il lavoro “vero” e la scrittura. E non ho ancora deciso se scrivo per me o per un pubblico. Ma sono sempre certo che mi piaccia raccontare storie.

Com’è nato il tuo primo romanzo?
Da racconti di anziani. Mia mamma, le zie, parenti, amici e conoscenti. Dopo, solo dopo, dai libri di storia. Chi è nato dalle mie parti, l’Appennino sospeso tra Modena e Bologna, è cresciuto con i racconti di guerra. Da lì passava la Linea Gotica, lì si sono compiute alcune tra le peggiori stragi e rappresaglie. La gente indossa ogni giorno le vicende della Resistenza. Anzi, le ha sottopelle. Si respirano nell’aria. Quelli della mia generazione hanno avuto la possibilità di sentirle raccontare dalla voce dei protagonisti. Chi verrà dopo non l’avrà. Spetta a noi caricarci queste storie sulle spalle e portarle avanti. Per non dimenticare, perché non si pensi che “la guerra è bella anche se fa male” per dirla con De Gregori. Ecco perché è nato “Venti corpi nella neve”. Quei venti corpi non sono esistiti, perché Case Rosse non esiste, il Prà Grand nemmeno. Ma durante la presentazione di Bologna un signore mi ha avvicinato per dirmi “Io sono figlio di uno dei venti”. Dei venti morti a Boschi di Ciano, 18 luglio 1944, non dei venti del Prà grand. Quelli erano morti veri. E’ per loro che ho scritto il mio romanzo.

Da quanto scrivi e chi sono i tuoi autori di riferimento?
Scrivo da sempre. Scrivo romanzi da pochi anni, da quando ho conosciuto la ragazza che poi è diventata mia moglie (allora non sapevo che sarebbe stata la mia più feroce critica). Con Sara mi sono completato. E’ stato come se avessi trovato, in me, energie e forze ed equilibri nuovi. Li ho indirizzati verso un’attività che avevo dentro: scrivere. Se scrivo da sempre, leggo da ancora prima. I miei autori di riferimento spaziano dai classici greci (Sofocle, Platone, Omero…) a Poe e Christie, Doyle. Nell’adolescenza ho avuto una sanissima passione per Stephen King. Recentemente ho scoperto Dürrenmatt e Vonnegut. Adoro Connelly e Lehane. Un mare di autori. Italiani: Piero Chiara, Loriano Macchiavelli… con Guccini scivoliamo nella religione.

So che un grande editore si è interessato a te; puoi anticiparci qualcosa?
Hai riservato la sorpresa per il finale, come in ogni buon thriller, eh? Fanucci è un grande editore. L’iniziativa di creare timeCRIME lo conferma una volta di più. Il lavoro che abbiamo fatto con Sergio Fanucci, con il direttore editoriale Alfredo Lavarini (il primo a crederci), con la bravissima editor Giovanna De Angelis, con Martina Suozzo dell’ufficio stampa e con tutto lo staff è stato duro, intenso ma molto divertente ed emozionante. Il successo di “Venti corpi nella neve” (inatteso per me, forse persino per loro) ha suscitato l’interesse di tanti: editori stranieri, case di produzione e… sì, anche qualche grande gruppo. Come la prendo? Con tranquillità. Tanto sta succedendo a un mio omonimo.

Paolo Roversi

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