Finalmente un romanzo da leggere tutto d’un fiato, ambientato in un’immobile Lisbona del 1940, quando in Europa stava esplodendo la seconda guerra mondiale, nel Portogallo di Salazar, ponte sull’Oceano Atlantico per i molti americani che erano in Europa e dovevano scappare dalla guerra di Hitler. Lisbona, sempre uguale, un non luogo, una terra neutrale, che ti dà la sensazione di esserci ma che nessuno ti vede, perché puoi sempre scappare. Fanno da contraltare i due Hotel Francfort, che esistono davvero, nel nome c’è il dilemma Hotel Francfort e Francfort Hotel, vorrebbero essere palindromi, ma non lo saranno mai. Il dualismo e la nullità del problema.
La storia è molto semplice, facile da seguire, per questo il lettore va avanti veloce e non si confonde. I personaggi principali sono quattro, due coppie di americani. Julia e Pete Winters, fuggiti dalla Francia per tornare in America, lei di origini ebree lui venditore di automobili a New York e Iris e Edward Freleng, due ricchi scrittori che vivono dei proventi dei loro libri e amano viaggiare lungo la costa francese, col loro cane Daisy, di quindici anni. Si incontrano al Cafè Suiça, dove uno stormo di piccioni volando radente ha fatto cadere gli occhiali dal naso di Pete ed Edward, inavvertitamente, li ha calpestati. Ma per fortuna le piccole carte del solitario di Julia, erano state tutte recuperate. Le due coppie scoprono di alloggiare entrambe nell’Hotel Francfort, strano nome per scappare dai tedeschi, del quale ne esistono due ai due poli opposti della città. Comincia da qui una commedia degli equivoci, degli scambi, degli incidenti e dei fraintendimenti. Tutto parte da qui, da I due Hotel Francfort. Viene raccontata la storia di ognuno di questi quattro personaggi, dall’infanzia fino al tempo attuale, i loro caratteri, le loro disavventure, il momento in cui avevano dovuto cambiare atteggiamento nei confronti della vita, si srotola un arco temporale di circa quaranta anni, per ognuno dei personaggi, il tutto dentro un fattore spazio che dovrebbe orientare il lettore già dai titoli delle sezioni: Ovunque, Da qualche parte, In nessun posto, Dappertutto. Come sempre un’affermazione e la sua negazione. Questo modo di costruire la narrazione, sfruttando il fattore spaziale che si articola nel tempo e lo dilata e lo costringe a suo piacimento, è il motivo per cui ci si sente modellati e dentro la storia, come delle statuette d’argilla.
Julia non vorrebbe lasciare l’Europa e sarebbe disposta a qualunque compromesso pur di evitare di salpare con la SS Manhattan, inviata dal dipartimento di stato per salvare gli americani in difficoltà. Lei, come rimedio antistress, gioca a solitario con delle carte piccole. Non vuole tornare dai suoi parenti ebrei ignoranti in America, dove aveva vissuto tempi bui, mentre in Francia a Parigi, si era realizzata e si era arredata una casa che è comparsa su una rivista di moda Vogue.
Pete è un personaggio complesso, l’io narrante, che si vanta di aver infranto tutte le regole da seguire per scrivere un buon romanzo, come a sottolineare che non ci sono regole. Nato figlio maggiore di tre fratelli, faceva il venditore di automobili a New York e lì a venticinque anni, incontra Julia e se ne innamora. La loro vita coniugale diventa noiosa e si trasferiscono in Europa a Parigi, dove Julia tenta di dimenticare il suo passato.
Iris, una donna alta dal collo lungo, e Edward Freleng, un genio che ci sa fare con le donne, scrivono libri molto popolari sotto lo pseudonimo di Xavier Legrand, amano alla follia la loro cagnetta Daisy e fanno una vita di giramondo in cui assaporano la vita con tutto quello che questa offre, in tutta libertà.
La realtà delle cose è ben diversa da quella descritta all’inizio e questo gioco degli specchi assieme con l’atmosfera irreale di attesa, all’interno di una Lisbona neutrale, in un gioco di complicità e segreti, rende efficace la storia stupendamente scritta da David Levitt de I due Hotel Francfort, dove niente è come sembra.