Intervista a Federico Inverni – Il prigioniero della notte

unnamedLa prima domanda è la più scontata: perché la scelta di celarsi dietro un nome de plume?
Innanzitutto, grazie per aver voluto intervistarmi. La scelta di utilizzare uno pseudonimo è nata principalmente da serie motivazioni personali, e poi anche dalla convinzione che un romanzo possa anche trovare i propri lettori senza l’ingombro di un autore. È quello che auguro a Lucas, Anna e al Prigioniero della notte.

Ho guardato il video di lancio di “Prigioniero della notte”, ci sono veramente indizi nascosti nei numeri scritti sui cartelli e nel battere delle dita?
Una nota, e acuta, annotazione del pedagogista Jean Paul dice, parafrasando un po’, che non esiste nulla di più serio del gioco. Quindi, sì, certo! Nel filmato che ho girato c’è un enigma piuttosto semplice che conduce a un indizio fondamentale del romanzo, e c’è un altro enigma, di risoluzione decisamente più difficile, che svela un’altra verità. Mi appassionano cifrari ed enigmi, sono un altro modo per imbrigliare la memoria e costringerla a non smarrirsi. Mi appassionano a tal punto che anche in questa risposta è nascosta una parola 🙂 La chiave dell’enigma è nel titolo del romanzo, Il Prigioniero Della Notte!

La narrazione procede con l’alternanza delle due voci narranti: il narratore onnisciente e poi la prima persona di Anna. Perché hai scelto di far parlare direttamente e quindi di ” entrare e farci entrare” nella mente del personaggio femminile? Non sarebbe stato per te più naturale e ovvio dare voce al personaggio maschile?
Ho scritto il romanzo credo due, tre anni fa durante l’estate. Il vento che saliva dal mare aveva inizialmente la voce di Lucas, ma ben presto mi sono reso conto che era impossibile, anche per me, entrare nella mente di un personaggio così complesso e con tante cose da nascondere. È stato allora che Anna ha preso la voce del vento, soffiando rabbiosa… E ho capito che dovevo ascoltarla. Quindi in realtà mi è stato molto più naturale dar voce a lei. Ma a ben vedere, le parti di Lucas sono una ‘falsa’ terza persona onnisciente: è una prima persona resa in terza. Non viene mai raccontato niente che non avvenga in presenza di Lucas. È una soggettiva peculiare, che mi ha imposto regole piuttosto rigide nella scrittura ma che allo stesso tempo mi ha divertito molto… Non posso far altro che sperare che il gioco fra i due punti di vista diverta anche il lettore.

“Prigioniero della notte”, nonostante l’inizio col botto è poi un lento costruirsi della trama soprattutto attraverso la descrizione dei personaggi principali .Un gioco a incastri che si rivela piano piano, tra luci e ombre che disorientano e deviano. Una storia a metà tra il thriller classico e lo psicothriller. Era questala tua intenzione sin dall’inizio o durante la scrittura hai preso una strada che non ti saresti aspettato? La storia può prendere il sopravvento sull’autore in corso d’opera?
Credo in realtà che sia comunque un romanzo con una buona dose d’azione, ma è vero che a un certo punto questa azione si sposta drammaticamente dentro la vera scena del crimine: la mente dei protagonisti e degli antagonisti. Non saprei dirti se fosse questa la mia intenzione, non è stata una decisione a tavolino. Ho strutturato la trama a lungo, dentro la mia mente, senza prendere appunti. Quasi una sfida con la mia stessa memoria. E a un certo punto la storia ha preso davvero il sopravvento, come dici tu, ma l’ha fatto ancor prima che poggiassi le dita sulla tastiera. Per questo poi mi sono bastate tre settimane per scriverlo.

Come si costruisce un colpo di scena? Quanto tempo hai dedicato alla messa a punto di tutti i particolari della trama?
Non so se ho costruito colpi di scena convincenti, me lo auguro! E su questo non posso dare consigli a nessuno, visto che ho ancora molto da imparare… Posso giusto dire che molto spesso sono stati i personaggi stessi a svelarmi cose inattese. In questo senso, Anna per me è stata la più sorprendente. Non mi aspettavo che a muoverla fosse la rabbia, eppure a poco a poco questa rabbia è emersa, cogliendomi di sorpresa. È un po’ da pazzi parlare dei personaggi come se fossero reali, vero?

Hai una scrittura particolare che non disdegna una certa vena poetica in alcune immagini. Tu come la definiresti?
Non lo so proprio! Io scrivo in modo istintivo, se hai trovato una vena poetica e queste immagini ti sono piaciute mi fai molto contento. Devo dire che in alcuni punti erano fin eccessive, e in questo devo ringraziare il lavoro prezioso della mia editor, Luisa Azzolini, che mi ha indicato dove limare e perché.

Ho letto le note finali, il tuo interessa per la memoria è nato prima o a causa del romanzo?
Prima, molto prima. Anni prima. È il motivo per cui è nato questo romanzo, in effetti.

“Senza storie saremmo prigionieri della notte” dici alla fine. Posso aggiungere anche : senza libri?
I libri sono per me la fonte primaria di storie. Lo sono sempre stati. Senza romanzi, racconti, senza le pagine fitte d’inchiostro che hanno accompagnato la mia crescita, non sarei chi sono oggi. Ho il sospetto che sarei meno felice, o anche semplicemente meno capace di essere felice.

Cosa significa per te scrivere e raccontare le tue storie?
Divertirmi. Come spero si divertano i lettori che vorranno passare un po’ di tempo con Anna e Lucas. Parafrasando Lewis Carroll, scrivere è ciò che c’è oltre lo specchio rispetto a leggere.

Quali sono i tuoi modelli letterari, se ne hai.
Tanti, non ce n’è uno che valga più di un altro perché sono piuttosto onnivoro, quanto a letture. Ma visto che la mia ossessione per la memoria ha dato origine a questo romanzo, posso fare un esercizio di memoria e risalire agli anni della mia formazione come lettore. Anni segnati da Conan Doyle, da tutta Agatha Christie, da Ellery Queen… Forse era inevitabile che, mettendomi davanti a una pagina bianca, le prime domande fossero: chi è la vittima, chi è l’assassino, chi è l’investigatore che l’arresterà?

Prevedi un nuovo libro della stessa serie?
So solo che il passato di Lucas e il presente di Anna hanno ancora molto da raccontare, da esplorare, molto di nascosto… E di pericoloso.

 

 

Cristina Aicardi

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