Intervista a Donato Carrisi – L’uomo del labirinto

51VgoXkymtLIn occasione del Noir In Festival abbiamo avuto l’occasione di rivolgere qualche domanda a Donato Carrisi
ora in tutte le librerie con il suo nuovo thriller “L’uomo del labirinto” – Longanesi

Il buio, il labirinto… tutti noi abbiamo un lato buio, oscuro?
Tu prova a entrare in una stanza buia. L’unica certezza riguarda te stesso. Sei lì. Quello che ti sta intorno non sai cos’è. A poco a poco, se rimani in quella stanza buia, cominci anche a mettere in dubbio chi sei tu. Ecco, questa è la sensazione che voglio trasmettere nei miei romanzi.

Tutti i personaggi che nel romanzo svolgono un ruolo, appaiono in un modo e poi sono altro, hanno delle maschere. A un certo punto del libro parli di narrazione speculare, come la tua, in fondo: tu mostri una cosa e poi fai vedere allo specchio un’altra verità.
Sì, gli specchi a volte mentono, a volte sono anche troppo sinceri. E noi nascondiamo tutti un lato oscuro, siamo sempre il doppio di qualcosa. Conserviamo in noi stessi un clone, che a volte si manifesta a volte resta nascosto nel profondo. Mi affascina molto raccontare questa seconda dimensione.

Anche tutti i simboli che hai scelto, il coniglio, i fumetti, il gioco, tutti dovrebbe essere qualcosa di bello, invece si trasformano in qualcosa di atroce. E anche la domanda “ti fidi di me?” è tremenda, perché prelude a qualcosa di minaccioso.
 C’è sempre una minaccia in ogni frase rassicurante, è così anche nella vita reale. Il primo monito dei genitori è “non accettare caramelle dagli sconosciuti”. Dovremmo essere allenati, invece ci caschiamo sempre. Il buio trova sempre nuovi modi per offrire caramelle. Noi rimaniamo ingenui da quel punto di vista.

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Una caratteristica dei tuoi libri sono le ambientazioni indefinite.
Sì, esatto, sono luoghi indefiniti, voglio che il lettore vi si perda, che non abbia punti di riferimento, che sia prigioniero, calato in un perfetto isolamento dove il male prende forme impensate.

Ne L’uomo del labirinto c’è un indizio che tu riproponi più volte, eppure uno se ne rende conto solo alla fine.
Anche più di uno…Io metto davanti agli occhi la verità. Il lettore deve essere messo in grado di risolvere il mistero prima. Mai giocare o barare alle sue spalle.

La tua narrazione diventa quasi circolare, ci sono riferimenti a tutti i tuoi libri.
 Penso che tutti i miei libri siano collegati. Il labirinto che racconto è un po’ la summa di tutto quello che ho scritto in passato.

Il ritmo delle tue storie è un crescendo incalzante.
I tempi morti non mi interessano, non racconterò mai di cosa fa un personaggio durante la giornata, non lo descrivo mentre mangia o altro. Lo scrittore manipola il tempo. Quello che conta è la sintesi delle emozioni

IMG_20171206_132410_864A un certo punto nel libro fai dire a un personaggio: “Mancano i mezzi, le risorse, la volontà politica di occuparsi degli scomparsi, perché è una lotta persa in partenza e a nessuno piace perdere”: è una piccola accusa?
Certi casi sono più interessanti, più mediatici e più vendibili di altri. Molti fanno carriera su un fatto di cronaca. Quando c’è la volontà politica, intesa in senso generale, le cose vengono affrontate, altrimenti sono lasciate a se stesse.

Il paradiso descritto da una bimba nel libro : il caldo, l’oceano, la barca… tu come l’immagini?
Non andrò in paradiso, deve essere di una noia mortale, preferisco l’inferno.

Nell’adattare il tuo romanzo “La ragazza nella nebbia” per il grande schermo, hai dovuto sacrificare qualcosa?
 Il fatto è che bisogna partire da ciò che piace allo spettatore. Al montaggio ho tagliato 35 minuti, ma non farò una director’s cut.

Nell’adattare il libro per il cinema hai sicuramente dovuto effettuare dei tagli: farlo in prima persona è stato meno doloroso che vederlo fatto da un altro regista?
Forse sì. Forse questo film potevo dirigerlo solo io, almeno nel mio cuore.

Milanonera ringrazia Donato Carrisi per la disponibilità

Cristina Aicardi

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