L’acqua appartiene a tutti



don lorenzo milani
L’acqua appartiene a tutti
Chiarelettere
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Investigalibro: A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca.

La “Lettera dalla montagna”, scritta dal “prete scomodo” don Lorenzo Milani al direttore del Giornale del Mattino (e ivi pubblicata il 15 dicembre 1955), contenuta in questo straordinario volume appena pubblicato da Chiarelerttere, non ha bisogno di commenti. Ho deciso di inserirla integralmente nella rubrica Investigalibro perché ritengo importante aggiungere una voce solista (e che voce!) al coro dei comitati promotori del referendum per l’acqua pubblica, ormai imminente.

La Lettera dalla montagna di don Milani, una delle tante che compongono questo splendido “Istant book”, è un’esortazione che il prete rivolse a coloro che negli anni Cinquanta avevano il potere perché rispettassero l’articolo 3 della Costituzione e una legge dello Stato: la 991/1952 (tutt’ora in vigore) che disponeva benefici economici per le popolazioni montane che intendevano dotarsi di un acquedotto. In altre parole: lo Stato aveva sancito che l’acqua fosse pubblica e quindi disponibile, a un prezzo equo, anche per chi viveva in montagna, ma quelle disposizioni erano disattese là dove collidevano con il diritto di proprietà sulle sorgenti. Allora don Milani, risentito, aveva scritto una lettera aperta a un quotidiano.

Per i lettori più giovani aggiungo soltanto poche informazioni sul “prete scomodo”. Don Lorenzo Milani è una figura mitica degli anni ’50. Un prete straordinario che pagò caro il suo impegno civile per affrancare i montanari di uno sperduto paese dell’Appennino toscano, Barbiana, dalla servitù dell’ignoranza.

Lorenzo Milani (Firenze 1923 – 1967), nasce da una famiglia della borghesia colta. Israelita per parte di madre, riceve un’educazione laica. Per propria scelta si avvicina al cristianesimo all’età di vent’anni e a ventiquattro viene ordinato sacerdote. E’ un uomo generoso, pieno di umanità, assolutamente convinto, lui, figlio di un docente universitario, che solo con l’istruzione i figli delle classi più svantaggiate possano aspirare a migliorare stabilmente le loro condizioni di vita e quelle dei propri discendenti. Per questo, appena viene nominato cappellano a San Donato di Calenzano, un importante borgo operaio vicino a Firenze, avvia un esperimento di istruzione popolare. Il progetto urta immediatamente coloro che si oppongono all’istruzione libera per tutti. Per le autorità civili ed ecclesiastiche che continuano a considerarla un privilegio riservato a pochi, don Milani diventa una spina nel fianco. Il vescovo decide di isolarlo esiliandolo a Sant’Andrea di Barbiana, un paesino di montagna sopra Firenze.

Poche case di sassi, una chiesetta nuda, stalle, ovili e strade fangose: a Barbiana, tagliato fuori dalla civiltà, non c’è nulla: niente acqua corrente, né luce elettrica, né scuola. I montanari sono poverissimi e non hanno soldi per sé, figuriamoci per i parroco. E’ il 1954 e la montagna, rosa dalla miseria, si va spopolando. Don Lorenzo non si scoraggia. Ci sono bambini e ragazzi in quel paesino. Sono ignoranti perché non hanno accesso all’istruzione, destinati a una vita di miseria. Eppure, quello stesso Stato che a loro non dà niente, li costringe a lasciare le famiglie e le bestie per adempiere gli obblighi di leva.

Nel 1965 don Milani, che a Barbiana ha già avviato un grande progetto di scuola multiclasse, scrive una lettera aperta a un gruppo di cappellani militari che, in un loro comunicato ufficiale, avevano definito vile e anticristiana l’obiezione di coscienza (lettera, pubblicata integralmente, insieme con molte altre, in questo Istant book di Chiarettere). Un gesto di ribellione che gli costa un rinvio a giudizio per apologia di reato e una condanna che arriverà postuma perché il “prete scomodo”, consumato dalle privazioni che aveva deciso di condividere con i suoi parrocchiani, muore a soli 44 anni.

E’ d’obbligo ricordare che la straordinaria esperienza di don Milani con i ragazzi della scuola di Barbiana è riversata in Lettera a una professoressa, il libro-capolavoro scritto da don Lorenzo insieme con i suoi alunni per rivendicare il diritto all’istruzione come un bene non negoziabile, sancito anch’esso dalla Costituzione.

Lettera a una professoressa è stato tradotto in tutto il mondo ed è considerato uno dei libri di maggior valore del secolo passato. Auguro con tutto il cuore che lo stesso destino, anche se con grande ritardo, sia riservato al libro riscoperto e pubblicato da Chiarelettere: A che serve avere la mani pulite se si tengono in tasca, perché il pensiero e l’impegno civile di don Lorenzo Milani oggi risultano più che mai attuali.

Lettera dalla montagna

Caro direttore,

col progetto di consorzio di cui ti parlai si darebbe l’acqua a nove famiglie. Quasi metà del mio popolo.

Il finanziamento è facile perché siamo protetti dalla legge per la montagna. La benemerita 991 la quale ci offre addirittura, o di regalo, il 75 per cento della spesa oppure, se preferiamo, in mutuo l’intera somma. Mutuo da pagarsi in trent’anni al 4 per cento comprensivo di ammortamento e interessi.

Nel caso specifico, l’acquedotto costerà circa 2 milioni. Se vogliamo sborsarli noi, il governo fra due anni ci rende un milione e mezzo. L’altro mezzo milione ce lo divideremo per nove che siamo e così l’acqua ci sarà costata 55.000 lire per casa. Oppure anche nulla; basta prendere pala e piccone, scavarci da noi il fossetto per la conduttura ed ecco risparmiate anche le 55.000 lire.

Se invece non avessimo modo di anticipare il capitale, allora si può preferire il mutuo. Il 4 per cento di 2 milioni è 80.000 l’anno. Divise per 9 dà 8800 lire per uno. Se pensi che 8000 lire per l’acqua forse le spendi anche te in città e se pensi che a te l’acqua non rende, mentre a un contadino e in montagna vuol dire raddoppiare la rendita e dimezzare la fatica, capirai che anche questo secondo sistema è straordinariamente vantaggioso.

Insomma bisogna concludere che la 991 è una legge sociale e meravigliosa. Mi piacerebbe darti un’idea chiara di quel che significa l’acqua quassù, ma per oggi mi contenterò di dirti solo questo: s’è fatto il conto che per ogni famiglia del popolo il rifornimento d’acqua richieda in media quattro ore di lavoro di un uomo valido ogni giorno. Se i contadini avessero quella parità di diritti con gli operai che non hanno, cioè per esempio quella di lavorare solo otto ore al giorno, si potrebbe dire dunque che qui l’uomo lavora mezza giornata solo per procurarsi l’acqua.

Dico acqua, non vino!

Tu invece per l’acqua lavori dai tre ai quattro minuti al giorno. A rileggere l’art. 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…» mi vengono i bordoni. Ma oggi non volevo parlarti dei paria d’Italia, ma d’un’altra cosa. Dicevamo dunque che c’è questa 991 che pare adempia la promessa del 2° paragrafo dell’art. 3 della Costituzione: «… è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini».

A te, cittadino di città, la Repubblica non regala un milione e mezzo, né ti presta i soldi al 4 per cento compreso l’ammortamento. A noi sì. Basta far domanda e aver qualche conoscenza. Infatti eravamo già a buon punto perché un proprietario mi aveva promesso di concederci una sua sorgente assolutamente inutilizzata e inutilizzabile per lui, la quale è ricca anche in settembre e sgorga e si perde in un prato poco sopra alla prima casa che vorremmo servire.

Due settimane dopo, un piccolo incidente. Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s’è svegliato d’umore diverso e m’ha detto che la sorgente non la concede più. Ho insistito. S’è piccato. Ora non lo scoscendi più neanche colle mine. Ma il guaio è che quando ho chiesto a un legale se c’è verso d’ottenere l’esproprio di quella sorgente, mi ha risposto di no.

Sicché la bizzettina di quell’omino, fatto insignificante in sé, ha l’atomico potere di buttar all’aria le nostre speranze d’acqua, il nostro consorzio, la famosa 991, il famoso art. 3, le fatiche dei 556 [padri] costituenti, la sovranità dei loro ventotto milioni di elettori, tanti morti della Resistenza (siamo sul monte Giovi! ho nel popolo le famiglie di quattordici fucilati per rappresaglia).

Ma qui la sproporzione tra causa ed effetto è troppa! Un grande edificio che crolla perché un ragazzo gli ha tirato coll’archetto! C’è un baco interiore dunque che svuota la grandiosità dell’edificio di ogni intrinseco significato. Il

nome di quel baco tu lo conosci. Si chiama: idolatria del diritto di proprietà.

A millenovecentocinquantacinque anni dalla Buona Novella, a sessantaquattro anni dalla Rerum Novarum [l’enciclica di papa Leone XIII. N.d.A.], dopo tanto sangue sparso, dopo dieci anni di maggioranza dei cattolici e tanto parlare e tanto chiasso, aleggia ancora vigile onnipresente dominatore su

tutto il nostro edificio giuridico. Tabù.

Son dieci anni che i cattolici hanno in pugno i due poteri: legislativo ed esecutivo. Per l’uso di quale dei due pensi che saranno più severamente giudicati dalla storia e forse anche da Dio?

Che la storia condannerà la nostra società, è profezia facile a farsi. Basterebbe il solo fatto della disoccupazione oppure il solo fatto degli alloggi. Ma una storia serena non potrà non valutare forse qualche scusante, certo qualche attenuante: l’ostacolo della burocrazia insabbiatrice, quello dell’Italia sconvolta dalla guerra, quello degli impegni internazionali… Insomma, tra attenuanti e aggravanti, chi studierà l’opera dei cattolici in Italia forse non riuscirà a dimostrare che la loro incapacità sia una incapacità costituzionale.

Saremo perdonati dunque anche se in questa preziosa decennale occasione di potere non avremo saputo mostrare al mondo cosa sappiamo fare. Ma guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare. Perché il non saper far nulla di buono è retaggio d’ogni creatura. Sia essa credente o atea, sia in

alto o in basso loco costituita.

Ma il non sapere cosa si vuole, questo è retaggio solo di quelle creature che non hanno avuto Rivelazione da Dio. A noi Dio ha parlato. Possediamo la sua legge scritta per esteso in settantadue libri e in più possediamo da venti secoli anche un Interprete vivente e autorizzato di quei libri. Quell’Interprete ha già

parlato più volte, ma se non bastasse si può rivolgersi in ogni momento a lui e sottoporgli nuovi dubbi e nuove idee. A noi cattolici non può dunque far difetto la luce.Peccatori come gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri no. Noi i veggenti o nulla. Se no val meglio l’umile e disperato brancolare dei laici.

Che i legislatori cattolici prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e stilino una 991 molto più semplice in cui sia detto che l’acqua è di tutti. Quando avranno fatto questo, poco male se poi non si riuscirà a mandare due carabinieri a piantar la bandiera della Repubblica su quella sorgente. Morranno di sete e di rancore nove famiglie di contadini. Poco male. Manderanno qualche accidente al governo e ai preti che lo difendono. Poco male. Partiranno per il piano ad allungarvi le file dei disoccupati e dei senza tetto. Non sarà ancora il maggior male. Purché sia salva almeno la nostra specifica vocazione di illuminati e di illuminatori. Per adempire quella basta il solo enunciare leggi giuste, indipendente dal razzolar poi bene o male.

Chi non crede dirà allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri dogmi e delle nostre certezze, negherà che Dio ci abbia parlato o che il Papa ci possa precisare la parola di Dio. Dicendo così avrà detto solo che siamo un po’ troppo cattolici.

Per noi è un onore. Ma sommo disonore è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il male, e a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri.

(Da A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca: per gentile concessione di Chiarelettere)

La legge 991, a cui fa riferimento don Lorenzo nella sua lettera al Giornale del Mattino è la L. 25 luglio 1952, n. 991 : Provvedimenti in favore dei territori montani, pubblicata nella Gazz. Uff. 31 luglio 1952, n. 176, modificata e integrata dalla L. 3 dicembre 1971, n. 1102, per la quale è stata emanata la Circolare I.N.P.S. 14 marzo 1997, n. 61.

adele marini

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