Dopo aver inseguito spinto dalla disperazione, il padre Ignazio da Toledo, fino all’Isola perduta, quasi alla fine del mondo, e aver visto con i suoi occhi il crollo enorme e devastante con la barriera di fuoco che avvolgeva ogni cosa, Uberto non si faceva più illusioni. Nessun essere umano poteva sopravvivere a tanto orrore . O almeno questo era ciò che credeva quando nel luglio del 1232, sbarcato finalmente in Sicilia, chiese udienza alla corte imperiale a Palermo.
Dopo il catastrofico finale al cardiopalma di Il segreto del Mercante di Libri, che ci aveva lasciato nell’angosciosa incertezza sul futuro, ritroviamo Uberto Alvarez mentre viene introdotto al cospetto di Michele lo Scoto, celebre astrologo, scienziato e consigliere ufficiale dell’imperatore e vecchio. diciamo, datore di lavoro e garante del padre. L’astrologo, mago e eminenza grigia della corte federiciana lo informa di aver appreso delle loro numerose traversie spagnole, delle ingiuste accuse mosse alla famiglia dall’inquisitore e padre domenicano fra’ Pedro Gonzalez, e lo rassicura sulle condizioni di moglie e figlia, che non vede da mesi, garantendo di averle in sua custodia e in perfetta salute. Ma, visto che aspettava il padre e non il figlio e vuole assolutamente sapere dov’è Ignazio da Toledo, confessa: «Ho urgente bisogno di parlargli. Molto urgente! È solo per questo motivo che mi sono degnato di accogliervi di persona…. Ebbene, dove l’avete lasciato?»
E per Uberto, davanti al suo gelido sguardo, che pare trafiggerlo come una lama, sarà doloroso e difficile confessare di essere certo che suo padre sia morto e spiegare come. Senza poi tener conto che dovrà persino far fronte alla sua scomposta e irata reazione. Il cancelliere scienziato infatti, dopo aver maledetto il nome di Ignazio da Toledo ed essersi sfogato accusandolo di tradimento, scaricherà  su di lui una serie di contumelie. E al suo inutile tentativo di difendere la memoria del padre, lo minaccerà di costringerlo a sostituirlo, per ovviare ai suoi crimini e, se vuol sapere il perché e percome, dovrà recarsi ai vespri a San Giovanni degli Eremiti.Â
Insomma, senza neppure fargli la grazia di riabbracciare moglie e figlioletta, lo condanna a una specie di prigionia controllata, sotto la custodia dei benedettini, governati dall’Abate Iocundus suo fedele. Dopo quella disastrosa accoglienza per Uberto, semiperduto nel rumoroso e colorato caos palermitano, sarà di conforto, al suo arrivo al Monastero privilegiata residenza di suo padre durante il suo lungo soggiorno siciliano, ritrovare il vecchio monaco il berbero Ascelepio, al quale al momento dell’imbarco a La Coruna, nei pressi di Santiago de Compostela, ha affidato la sua famiglia. Anche lui è costretto a restare a San Giovanni degli Eremiti, ostaggio dal dispotico volere di Michele Scoto. Â
In sostanza, Palermo pare voler diventare per Uberto l’inizio di un nuovo incubo. Anche perché non ha più notizie di sua madre, che ha lasciato prigioniera a Madrid con solo la protezione esterna del fedele Wilhame, e sua moglie e sua figlia in pratica sono prigioniere del geniale e potente astrologo personale dell’imperatore Federico II. Michele lo Scoto per parte sua presume che il mercante, magari a buon fine, nel timore che potesse finire nelle mani sbagliate, abbia preso e, servendosi di un astruso rompicapo, abbia nascosto a tutti un libro misterioso, la leggendaria Prophetia Merlini. Un libro che aveva ritrovato e che pare contenesse alcune magiche indicazioni della gente del nord…
Insomma Uberto è condannato a percorrere uno spinoso cammino, tracciato da altri per lui. Dovunque alzi lo sguardo poi vede solo nemici attorno a lui e in una sconosciuta città come Palermo, maestosamente ricca, opulenta e popolosa sotto Federico II, ma a lui del tutto sconosciuta sarebbe perduto senza l’imprevisto, provvido ed eccezionale aiuto di Balac il terribile, la miglior spia di Palermo.
Uberto si arrovella, si sforza di mostrarsi all’altezza di suo padre … Non può certo immaginare che le sue sventure saranno anche se non direttamente, collegate a ciò che sta vivendo un uomo che ha smarrito il suo passato, soccorso, privo di sensi e di memoria, abbandonato su una lontana spiaggia dell’Africa settentrionale e messo schiavo ai remi, imbarcato su una nave di pirati barbareschi che ora bordeggia lungo le lontane coste del mar Rosso.
Si faceva chiamare Al Andalusi ma ora che la memoria e la coscienza di sé lentamente stanno ritornando ha cambiato il nome in Al-Qalam. Ha ripreso il suo vero nome? Ma è alla catena, prigioniero di uno spietato capitano, che dovrà  affiancare e guidare nella sua caccia a un favoloso irraggiungibile tesoro da sempre e ovunque ambito, ricercato e che si dice provenga dal Santo Sepolcro. Forse un gran tesoro rubato in tempi remotissimi a re Salomone, addirittura da Menelik figlio suo e della Regina di Saba.
Mentre Al-Qalam lotta per ricuperare  la sua identità e riprendersi la libertà , Uberto si allea con Michele Scoto sia per ritrovare quanto il Mercante ha nascosto e confutare pericolose teorie sostenute dagli avversari e dai nemici dell’imperatore, sia per spalleggiare sua madre, Sibilla, spirito indomito che ha rialzato fieramente la testa e mira a smantellare il falso castello di accuse di eresia mosse loro dall’acerrimo nemico di Ignazio da Toledo, da Pedro Gonzále, spietato inquisitore domenicano… Un’alleanza che dovrà superare ogni ostacolo e battersi all’ultimo sangue contro scatenati nemici che paiono invincibili.
Ormai siamo adusi al ritmo narrativo diciamo “alla Simoni “ soprattutto quando riporta in scena il suo ormai stranoto Mercante, Ignazio da Toledo.
Si riparte ancora una volta al galoppo più sfrenato, ormai coinvolti in un carosello di fughe e inseguimenti, di accuse, controaccuse, sospetti di eresia, complotti, delazioni, intrighi , tranelli, cambi di rotta, duelli e tradimenti praticamente a ogni pagina, sempre pronti e in ascolto di quanto qualcun’altro sta tramando. I minacciosi nordici pugnali con per elsa una croce, si sono insinuati come velenosi serpenti anche in terra siciliana pronti ad attaccare e uccidere. Eh già , perché udite, udite, contemporaneamente pare che siano risaliti sulla scena, assetatati di sangue e vendetta, anche gli affiliati alla setta dei vecchi sanguinari nemici del Mercante: la Saint-Vehme, ai quali si sono aggiunti i misteriosi e altrettanto letali adepti della Setta della Rosa, spalleggiati da I Cavalieri Teutonici, la potente consorteria di cavalieri germanici. In un continuo alternarsi di alleanze e contrapposizioni che vedono in gioco l’impero, gli intrighi del papato e dei suoi emissari, tra i quali alligna persino Pier delle Vigne: insomma una specie di minaccioso labirinto dal quel bisogna riuscire a trovare l’uscita.
Anche stavolta Marcello Simoni ci affascina con il suo colto e fiabesco raccontare, in bilico tra feuilleton alla Dumas, avventura salgariana, con una punta di Mille e una Notte, forse persino una toccata a Marco Polo e poi stavolta, mi viene da aggiungere, mi ha persino riportato alla mente certi fantasmagorici intrighi di Anne e Serge Golon e della loro indimenticabile Angelica. Un raccontare che non stacca mai, non si mai concede pause. Con il fiato sospeso, affrontiamo ogni nuovo capitolo, tempestati da un turbinio di eventi che ci spronano a riprendere subito la lettura. Spesso con appena il tempo di respirare tra una pagina e la successiva ma sempre con il cuore in gola.Â
Capitoli brevi e meno si susseguono con salti di scenario da brivido, densi di personaggi e arricchiti da colpi di teatro che ci costringono a immergerci nelle più ardue peripezie dei protagonisti. La costruzione poi di una lingua che definirei semi maccheronica dalle tenui ma ben calibrate inflessioni medioevali che immergono il lettore nell’epoca e talvolta fanno sorridere, a conti fatti si rivela una perfetta attualizzazione a rovescio del linguaggio odierno, leggibile per la disinvolta affabulazione che incanta. Unita sempre a quella giusta e indispensabile dose di leggerezza che è anche uno dei tanti meriti del libro. Che poi se volessimo paragonare La profezia della pagine perdute a una torta potremmo descriverla così: ricca, calorica, spumeggiante e farcita al punto giusto di tutti gli ingredienti indispensabili a farne una meraviglia.                                                Marcello Simoni, so di averlo già  detto ma non mi stancherò di ripeterlo, usa con sapienza la sua capacità di riuscire a creare le diverse atmosfere utili alla sua trama, avvalendosi sempre di un’accurata ricostruzione storica che non trascura i particolari e introduce al punto giusto e con il giusto equilibrio i personaggi realmente esistiti. Le sue ambientazioni, sono sempre puntuali, ricercate, spesso molto volute ma sempre e solo palcoscenico e cornice che lasciano spazio, anzi privilegiano e arricchiscono la sua storia e la vera storia. Che dire ora?.
Beh grazie Marcello! Alla prossima!
La profezia delle pagine perdute – Marcello Simoni
Patrizia Debicke