Quando in libreria ho visto su uno scaffale il libro di Gilberto Squizzato “La TV che non c’è. Come e perché riformare la Rai”, sono stata subito attratta. Sarà forse dovuto al fatto che io stessa ci lavoro e quindi l’argomento mi vede coinvolta.
Dal titolo già da se provocatorio, si può capire che Squizzato non è stato molto tenero nel dipingere la nostra TV di Stato. Anzi, come un perfetto Cicerone ci accompagna fra strade maestre e vicoli più nascosti e reconditi, senza risparmiare niente e nessuno. Il suo racconto parte dal suo ingresso alla TV pubblica, quando scoprì che purtroppo tutto veniva deciso dall’appartenenza o meno ad un determinato partito politico. La perdita inesorabile di personale veramente qualificato, che invece di essere rimpiazzato ha lasciato aperta la porta all’ingresso di società esterne con le figure professionali che mano a mano la Rai ha perso. E poi ancora, quali dovrebbero essere le differenza fra un palinsesto di una TV pubblica e di una privata. Il pubblico sempre più avanti negli anni rispetto a quello delle TV private, lo spauracchio dell’Auditel, fino ad arrivare alla classe dirigente – direttori di rete e di testata – e le differenti conoscenze in relazione ai ruoli investiti.
Insomma, una lettura interessante, mai noiosa e soprattutto utile a far conoscere un po’ meglio di cosa si parla quando si affronta la “questione Rai”.
Concludo questa mia recensione con un breve estratto che credo mostri con sufficiente chiarezza lo spirito del libro:
“[…] sono molte le associazioni degli spettatori che ripetutamente denunciano lo scollamento dalla vita reale di segmenti importanti del palinsesto Rai e una rappresentazione artefatta e fasulla del mondo.”