“Non provavo nulla”. Gellert Tamas parla de L’uomo Laser.

Si racconta che il giornalista Mikael Blomkvist, protagonista delle Trilogia Millennium, dorma tenendo sul comodino una copia di L’uomo laser di Gellert Tamas. Lo stesso Stieg Larsson avrebbe voluto scrivere di questa vicenda reale, ma, essendo troppo impegnato nella stesura della sua trilogia, confidò a Tamas: “Me lo hai rubato, stavo per scriverlo io, ma non importa è un buon libro”.
Perché L’Uomo laser è davvero un buon libro, anzi, è un libro utile. C’era una volta la Svezia, recita il sottotitolo, ed è vero. Quello di Tamas è un romanzo reportage, come non se ne vedevano dai tempi di Capote, che mostra come l’ascesa politica e sociale dei movimenti neonazisti della Svezia degli anni Novanta fu in parte legata alla profonda crisi economica e d’identità patita dal paese nordico in quel periodo. Prodotto e protagonista di questo periodo nero, The laser man, il serial killer che tra il 1991 e il 1992, sconvolse Stoccolma sparando, prima che la polizia riuscisse a individuarlo, con un fucile dotato di un mirino laser a ben undici persone tutte di origine extracomunitaria.
Per raccontare chi fosse realmente The laser man, ma anche chi fossero realmente le sue vittime, l’autore sceglie di narrare il passato di entrambi intercalando gli eventi storici con nove capitoli in corsivo che riportano fedelmente il testo dei racconti in prima persona fatti da Ausonius allo stesso Tamas. Un espediente narrativo degno dei migliori thriller, quello di Tamas, a cui abbiamo avuto modo di fare qualche domanda.

Chi era John Ausonius e perché hai scelto di scrivere proprio su di lui?
Per chiunque sia abbastanza grande da ricordare i primi anni ’90 in Svezia, John Ausonius è un nome tristemente noto. Tra l’inverno del 1991 e la primavera dell’anno successivo, la sua follia omicida produsse non solo undici tentati omicidi nel corso di dieci attacchi, ma un’ondata di terrore con picchi di panico in tutto il paese. Bastava avere i capelli neri o la pelle scura per rischiare di diventare la prossima vittima. Gli attentati portarono a vaste dimostrazioni di protesta e solidarietà con le vittime da parte dei comuni cittadini, ma anche a manifestazioni meno numerose da parte dell’estrema destra in favore dei responsabili. I Democratici Svedesi, che attualmente siedono nel nostro parlamento, organizzarono un corteo con slogan come: “Uomo laser, vai e uccidi”.
Ausonius è cresciuto in una società in cui non si è mai sentito integrato, era costantemente considerato, a causa dei suoi capelli scuri, un immigrato. Spesso da bambino fu assalito e preso in giro e additato come “Nigger”, e crescendo si è sempre sentito un outsider mentre cercava disperatamente di diventare un vero svedese. Ha cambiato il suo nome in uno dal suono più svedese, si è tinto di biondo e ha comprato lenti a contatto colorate. Ha fatto qualsiasi cosa per essere accettato come “uno di noi”, gli svedesi, e non “uno di loro” gli immigrati. L’ultimo passo è stato provare a sparargli e a ucciderli, compiendo così l’ultimo passo per diventare “uno di noi”. La storia di Ausonius è la storia dell’interazione tra la società e l’individuo. Una società che tratta alcuni dei suoi abitanti come “loro”, come estranei, susciterà sempre sentimenti di esclusione, arrivando a rischiare fenomeni di segregazione sociale (anche se poi non tutto conduce a personaggi così estremi come l’uomo laser).

Quando ti sei trovato faccia a faccia con Ausonius cosa hai pensato?
Ho avuto con Ausonius un’intervista molto lunga: circa 40 ore. Il nostro primo incontro è stato alquanto inquietante: ero rinchiuso nella sala visitatori con un serial killer grande il doppio di me. Ma questo nostro primo incontro andò bene, Ausonius si è rivelato una persona molto intelligente, in grado di parlare in modo fluente tre lingue: svedese, tedesco e inglese, assiduo lettore del Newsweek e di The Econimist.
Mi ha raccontato dei suoi attentati in maniera molto meccanica come se stesse parlando di cosa aveva comparto al supermercato; quando gli domandavo cosa provava verso le vittime e i loro familiari mi rispondeva: “Nulla”. Poi proseguiva dicendo: “Ho provato davvero a essere dispiaciuto per loro, sapevo di dovermi dispiacere, ma non ci riuscivo, non provavo nulla”.

Il quadro che emerge dal tuo libro è quello di una Svezia in cui vigono impulsi antisociali e razzisti, in cosa lo Stato ha fallito?
Non possiamo parlare di un fallimento dello stato attuale perché la Svezia ha una lunga tradizione di piccoli ma attivi gruppi di opposizione al welfare state. Ce n’erano anche durante l’era di Palme: piccoli gruppi che l’odiavano profondamente, vedendolo come un traditore che aveva svenduto i valori “svedesi” in favore di un comunismo “soviet style”. Lo Stato forte era ridicolizzato come lo Stato troppo forte che non lasciava al singolo la libertà di scelta. La propaganda antimusulmana può essere in parte considerata come frutto di questi sentimenti, ma deriva anche dalla forte retorica e dai sentimenti antimusulmani che attraversano l’Europa da decenni e che si sono particolarmente radicati a partire dall’11 settembre. Di fatto, la destra populista e xenofoba scandinava, in Svezia come in Norvegia e in Danimarca, ha cominciato a prendere di mira i musulmani a partire dalla metà degli anni ’80, molto prima dell’11 settembre, descrivendoli come la principale minaccia per le società scandinave. È il classico bisogno del nemico esterno da incolpare. Per quanto incredibile, questi partiti sono sostenitori di certe politiche di welfare e al tempo stesso di drastici tagli fiscali. Questa contraddizione in termini – impossibile far fronte a certe spese sociali tagliando le tasse – è avanzata come una proposta plausibile puntando il dito contro gli “immigrati” in generale e i “musulmani” in particolare. Impedendo loro di entrare nei paesi scandinavi e addirittura convincendo o forzando quelli che ci sono già ad andarsene, sarà possibile diminuire le tasse e mantenere il welfare. La presunta minaccia e i presunti costi dei musulmani sono una pietra miliare nella retorica della destra populista e xenofoba scandinava.

Com’è cambiata la società svedese dal 1990 a oggi? Quali sono le principali differenze tra la destra svedese degli anni Novanta e la nuova destra entrata in parlamento?
Ci sono analogie e differenze tra oggi e i primi anni ’90. Abbiamo di nuovo un partito xenofobo in parlamento e un dibattito politico che addita gli immigrati come capri espiatori, e abbiamo assistito a nuovi atti di violenza e crimini motivati dall’odio razziale, in particolare al sud, nella città di Malmö, dove un serial killer è sospettato di almeno tre omicidi e altri dieci o più attentati, tutti da ricondurre al colore della pelle o dei capelli delle vittime (il processo inizierà a maggio). Ma ci sono anche differenze. Forse in conseguenza delle esperienze dei primi anni ’90, i partiti tradizionali sono più attenti a mantenere le distanze con i Democratici Svedesi, in modo da non puntare su di loro i riflettori che Nuova Democrazia aveva attirato su di sé nei primi anni ’90. In più abbiamo oggi un massiccio movimento popolare contro i Democratici Svedesi. Il giorno dopo i risultati elettorali e la loro entrata in Parlamento, decine di migliaia di persone sono scese in piazza manifestando spontaneamente in tutte le maggiori città svedesi.

Pensi che il noir o il thriller oggi sia il genere letterario meglio capace di raccontare il tempo in cui stiamo vivendo?
In un paese come la Svezia si registrano 150 omicidi l’anno, che non sono molti: tutti abbiamo avuto a lungo un’immagine della Svezia come paradiso tranquillo, dove gli stranieri e gli svedesi convivono armoniosamente. Oggi questa immagine di società perfetta (e forse anche questo modello) è in crisi, e i thriller e i noir sono un contrappunto, uno specchio, un riflesso molto interessante…

Quale autore più di altri ti ha influenzato?
Truman Capote e Norman Mailer sono tra quegli scrittori che mi hanno influenzato. Se dovessi scegliere un libro in particolare che mi ha ispirato sarebbe certamente Il canto del boia di Mailer su Gary Gilmore e la sua esecuzione per una serie di omicidi molto famosi. La prospettiva alternata di Mailer su entrambe le vittime e l’omicida mostra un autore possa calare un crimine in un contesto sociale molto più ampio. La mia idea su L’uomo laser era quella di mostrare l’interazione tra l’individuo e la società in cui vive: tutti noi siamo influenzati dalla società, ma a nostra volta, con le nostre azioni e le parole e l’assenza di gesti e parole, abbiamo anche la possibilità di influenzare la società che ci circonda.

Francesca Colletti

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