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Un libro-documento, Servi che già nel titolo prende posizione sulla materia del narrare. Quelli incontrati personalmente da Marco Rovelli, sono a tutti gli effetti i nuovi schiavi della nostra modernità, una forza lavoro sommersa di clandestini che l’Italia da una parte respinge, dall’altra utilizza per rimettere in piedi la propria economia.

Il viaggio comincia a sud, dalle mani dei raccoglitori dei pomodori, carciofi, meloni, che seguendo le stagioni della raccolta si spostano tra Catania, Cerignola, Lamezia Terme e Castelvolturno. E’ un itinerario della disperazione, venti euro a giornata per chi è fortunato e riceve un compenso, ma capita spesso che i primi mesi siano gratuiti, che i padroncini scompaiono al momento di pagare e che non ci sia alcuna possibilità di rivalsa da parte dello “schiavo”, davanti al ricatto della denuncia alle autorità per chi non è in regola.

Attraverso le parole dei clandestini ai quali viene data finalmente voce e visibilità, Rovelli ricostruisce il quadro italiano legislativo, le contraddizioni della Bossi-Fini e le gravi anomalie che provoca, oltre alla criminalizzazione dell’immigrato. Un capitolo scritto prima dei fatti accaduti a Rosarno già evidenziava come lo sport più praticato dai giovani del luogo fosse la caccia al nero. In questo territorio l’illegalità non è più di casa da diverso tempo e persino l’impianto di condizionamento in una chiesa è stato pagato dalla famiglia Pesce una delle cosche più potenti. I nuovi agrari in Calabria come in buona parte del mezzogiorno provengono dalle fila della ‘ndrangheta o della camorra, ed è anche grazie a questo sistema di omertà e criminalità che si concentra buona parte della manovalanza immigrata. Risalendo la penisola la situazione non migliora, il nord padano prospera grazie all’edilizia e per tenere competitivi i prezzi degli appalti ha bisogno di immigrati disposti a tutto per il permesso di soggiorno.

Caso esemplare la nuova zona Fiera di Milano dove il caporalato intasca tangenti per far lavorare nel cantiere. E poi tutto l’esercito delle badanti, quel “proletariato dei servizi” silenzioso, che vive e lavora nelle famiglie e che sopperisce alle carenze del nostro stato sociale e assistenziale. L’universo dei clandestini al lavoro raccontato da Rovelli è il perno sul quale si regge la nostra società ed è la dimostrazione di come il capitalismo non possa fare a meno dei suoi schiavi.

arianna cameli

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