Non sono anni facili quelli in cui Alice Basso ambienta le avventure della sua protagonista Anita Bo. Gli anni Trenta del secolo scorso riecheggiano per antonomasia come un periodo di enormi fermenti, che di lì a poco deflagreranno nel più crudele dei modi, in una società dove la libertà d’espressione è solo un miraggio, la parità di genere nemmeno contemplata. Un primo conflitto mondiale terminato da poco, una seconda guerra che andrà presto a cominciare, e la gente oppressa tra due fuochi, senza nemmeno riuscire a prendere consapevolezza di sé.
Eppure la scrittrice di origini milanesi, Alice Basso, riesce a portare sulla carta una donna che sfida le convenzioni e abbatte le proibizioni, ergendosi quale eroina che riscatta le ingiustizie subite.
Siamo a Torino nel 1935, e Anita Bo, protagonista di una serie che la vuole dattilografa presso una casa editrice, quando comincia Una festa in nero (Garzanti, aprile 2024) sta guidando nella notte al volante di una Balilla Spider. I fari che fendono audacemente la strada, mentre lei riflette sul delicato periodo che si trova ad affrontare, con un pensiero particolare rivolto al direttore e collega della rivista Saturnalia, l’affascinante Sebastiano Satta Ascona.
Quindi non solo una donna alla guida anticipa i tempi, ma sono altre le cose che Anita fa, in modo analogo. Per esempio, sono mesi che rimanda il matrimonio col fidanzato Corrado, per il motivo citato sopra, dato che per le stanze della redazione avvengono ultimamente incontri ravvicinati, quando il personale si allontana e segretaria e direttore rimangono da soli. Inoltre, Anita scrive dei gialli prendendo spunto da fatti di cronaca, un atto rivoluzionario a tutti gli effetti, sebbene sotto lo pseudonimo di J.D. Smith.
Contaminando un pochino la trama col mondo della spy story, la vicenda acquista mordente, anche se a scapito della stessa Anita. Qualcuno ha iniziato infatti a seguire lei e il suo entourage, cosa pressoché terribile per l’epoca! Meglio assecondare le spie, anche se per l’ennesima volta il fatto non dovrebbe accadere. Per la solita questione di giustizia, che invece latita di brutto.
Al di là delle vicissitudini che i personaggi dovranno affrontare, la cosa che salta all’occhio è l’accuratezza nel creare l’atmosfera e tutto ciò che riporta a quegli anni. Se anche l’autrice si è presa qualche licenza, come scrive nella Postfazione (che consiglio di leggere!), credetemi, non se ne accorge nessuno.
Inoltre, l’ironia è un’arma vincente che non conosce epoche, e per questo Alice Basso è molto apprezzata nell’ambito del genere giallo “divertente”, cosiddetto cosy crime. Le sue storie, questa compresa, sono spassose. Ci sono certi modi di dire, certe “trovate”, che davvero lasciano interdetti. Però dal ridere! Su tutte, una piccola chicca che rimarrà nell’immaginario collettivo. Pare che Anita abbia emesso un sospiro talmente pronunciato da poterci gonfiare un dirigibile. Come dire? Qui anche le battute trovano un consono riscontro nella giusta epoca.
In tutto questo, il clima di concitazione cresce. Quel che viene chiesto dalle fantomatiche spie rischia di destabilizzare l’intero gruppo che ruota attorno ad Anita. Collaboratori, familiari, amici, lo stesso Sebastiano. Ma ciò che fa più male è che non ci si possa fidare veramente di nessuno. L’attenzione non scema, però sicuramente i personaggi stessi delle storie di carta di Anita la esorterebbero ad avere coraggio. Lei che non è abituata a fuggire e neanche a mentire, si trova d’improvviso al cospetto di una rivoluzione che non è soltanto esteriore, ma soprattutto interiore, alla luce del cambiamento.
Questo libro è talmente bello e così amata è stata Anita Bo, che è meglio se non aggiungiamo niente riguardo il finale. In nessun senso, per non rovinare la sorpresa e interrompere l’idillio che si è creato. Insomma, leggetelo e mi darete ragione.