Talvolta occorre fare non uno, ma numerosi passi indietro.
Perché, prima di immergerci dell’ultimo giallo, in quella pubblicazione strillata su giornali, televisioni e pompata da ospitate sui talk, occorre andare a cercare le origini di quel che oggi diviene “fenomeno”.
Dobbiamo andare a ricercare gli ingredienti del giallo tra le pagine della Christie o di Sir Conan Doyle, prima di dire se quel romanzo giallo appena pubblicato e dalla fascetta che ci informa dell’ennesima ristampa sia davvero un opera letteraria o se non sia una discreta produzione, opportunamente pubblicizzata.
E nel ricercare quegli ingredienti in Italia, non possiamo che terminare la nostra ricerca in quell’isola difesa da Scilla e Cariddi, in uno dei romanzi che da soli sono il paradigma del giallo nostrano.
Questo archetipo narrativo è così racchiuso nelle poche pagine curate con l’usuale spartana austerità di Adelphi in quel vaso di Pandora che risponde al nome di “Una storia semplice”, di Leonardo Sciascia, pubblicato nella sua prima edizione ben 31 anni addietro e che ancor oggi, con la sua singolare genuinità lessicale, mette davanti agli occhi del lettore un affresco narrativo di limpida bellezza.
Un giallo italiano, imbevuto di “storia” italiana che passa dal Generale Garibaldi alla tenue penna di Pirandello, che va acquerellando vividamente una Trinacria ancora genuina, priva di quella celebrazione che sopraggiungerà inaspettata con l’arrivo di un Commissario di Vigata.