Il giallo di Villa Nebbia – Roberto Carboni



Roberto Carboni
Il giallo di Villa Nebbia
Newton Compton
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Roberto Carboni: dal noir al giallo gotico
Si può parlare di debutto per un autore all’undicesimo romanzo? Sì, certo, se si tratta di Roberto Carboni, campione di noir, che per il suo esordio in Newton & Compton (Il giallo di Villa Nebbia, Collana Nuova narrativa Newton, pagg.350) non abbandona il suo colore narrativo, fin qui assoluto, ma lo fonde con il giallo di un’indagine in piena regola e con il gotico di inquietanti sfumature soprannaturali.
Piero Bianchi è un povero diavolo. La vita gli ha inflitto ferite profonde, il suicidio della moglie e l’allontanamento della figlia che lo ritiene responsabile, non superiori però a quelle autoinferte in lunghi anni di abuso alcolico per tacitare insoddisfazione e demoni interiori. Era partito bene, Piero Bianchi, una laurea, una discreta agiatezza economica ereditata dal padre, piccolo impresario edile, una famiglia. Ma poi si è perso, come accade a molti. Ora l’intero paese, poco più di un borgo alla periferia di Bologna, lo condanna per la tragedia della moglie e lo perseguita con minacce e atti di vandalismo. L’aria si è fatta davvero irrespirabile per lui e così, quando sente che cercano un custode per Villa Nebbia, una decadente dimora patrizia isolata in cima a un’altura, non esita a presentarsi. È l’inizio di un drammatico viaggio alla scoperta di se stesso e dei misteri della villa, che fin da subito lo incatena in una spirale di fascinazione e repulsione. Come del resto la sua occupante, Maria Sole, verso la quale inizia da subito a nutrire una protettiva tenerezza e un altrettanto profondo sconcerto per gli aspetti contradditori del suo carattere: a volte ingenua e benevola, altre indifferente o peggio ostile. Maria Sole non abita da sola a Villa Nebbia, ma con una zia molto malata, e forse con altre inquietanti presenze che Piero Bianchi inizia ad avvertire, ma che non sa dire se reali o frutto della suggestione del luogo. Ticchettii sui vetri, elusive presenze nel bosco limitrofo, luci che si accendono in stanze disabitate, una dimora in rovina che cela cantine ristrutturate alla perfezione. E morti che iniziano a cadere, uno dopo l’altro, nel passato e nel presente, tutti in qualche modo legati al destino dell’antica dimora.
Roberto Carboni stupisce il lettore, e questa non è una novità perché lo fa da anni, con storie di un nero sempre più profondo, con protagonisti dall’anima sempre più malata e con plot narrativi che credi di aver decifrato e invece, all’ultima pagina, ti mettono bellamente nel sacco.
No, con Il Giallo di Villa Nebbia, Roberto Carboni stupisce anche per altre ragioni.
Per la prima volta nella sua bibliografia, racconta una vicenda che si muove nel passato, a cavallo tra due piani temporali, il 1968 e il 1978, da lui ricostruiti con preciso dettaglio di colori e abitudini dell’epoca: le parole del brano La bambola, cantate da Patty Pravo quale sottofondo musicale del prologo, risuonano a dir poco agghiaccianti.
Stupisce per la potenza evocativa dell’ambientazione, Villa Nebbia, quell’edificio che “sembrava costruito apposta per intimorire gli esseri umani, […] più un vecchio ospedale semidiroccato che non un’abitazione, […] a strapiombo su un dirupo che pareva il varco dell’oltretomba”. Un omaggio davvero riuscito, quello di Roberto Carboni, alle atmosfere del nostro cinema thrilling, per intenderci quello di Lucio Fulci poi recepito appieno dal primo Dario Argento, che mescolava tensione adrenalinica a elementi horror. Ma anche un omaggio al gotico padano di Pupi Avati, alla sua Casa dalle finestre che ridono, colma degli echi di favole dal terrore antico, narrate ai bambini raccolti attorno ai focolari di casali immersi nelle fredde nebbie di pianura.
Stupisce, Roberto Carboni, per il profondo acume psicologico con cui è costruita la figura del protagonista, forse nella sua galleria di pur vividi personaggi quello in cui l’autore più si rivela: magistrale il suo vagheggiare, nella notte desolante di Villa Nebbia, sui diversi popoli che nel corso dei secoli avevano vissuto in quella terra, uomini qualunque ed eroi, vittime e carnefici, che in stratificazione temporale si erano alternati fino a lui.
Stupisce ancora per la complessità del personaggio di Maria Sole, una figura spettrale che, fin dalla sua prima apparizione, introduce inquietanti pennellate gotiche nel tessuto narrativo. Alta e magrissima, quasi diafana, cammina a piedi nudi su un pavimento gelido, quasi nemmeno lo sfiorasse, e la sua voce è “roca, ma quasi infantile”, come se in lei convivessero il suo traumatico passato di bambina e il suo futuro di vecchia senza speranze. Quasi che il presente le fosse precluso. Una figura che si inserisce a pieno titolo nella galleria dei più riusciti personaggi della narrativa gotica, ne cito uno tra i tanti La donna in nero di Susan Hill.
Stupisce infine Roberto Carboni per lo stile che da secco, concitato, quasi privo di punteggiatura nei romanzi precedenti, qui diventa fluido, avvolgente, perfino insinuante, a tratti quasi solenne o addirittura remoto. Uno stile che lui sa piegare alla storia che intende raccontare, senza mai perdere il suo timbro personalissimo.
Una prova d’autore, una sorpresa per chi già lo conosce una scoperta imperdibile per i nuovi lettori.

 

Giusy Giulianini

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