I miei eroi riluttanti. Intervista a Sandrone Dazieri.

download (2)Nel suo ultimo romanzo, Il re di denari, chi legge ha l’impressione che il male sia qualcosa di immenso e conglobante e che gli uomini ne possano individuare solo alcune sfumature qua e là senza mai riuscire a fermarlo nonostante le buone intenzioni. Questo senso di impotenza umano è voluto o solo conseguente alla narrazione?
Voluto. Non credo al Male biblico, ma credo in una sorta di malfunzionamento dell’essere umano. Nonostante la grande quantità di brave persone, la percentuale di cretini e privi di empatia è tale da mandare all’aria qualsiasi possibilità di salvezza. Forse ce la potevamo cavare prima della fine della svolta digitale, ma adesso siamo fottuti. Non è grave, comunque. Nel giro di cento anni avremo mandato a puttane il pianeta e ci saremo estinti.

Il re di denari affronta anche temi come la Guerra Fredda, il segreto di Stato, i servizi segreti e la cronaca vera e propria. Non ha avuto paura che mettere tanta carne al fuoco avrebbe compromesso l’attenzione del lettore dalla storia principale, da quello che soffrivano davvero i protagonisti del romanzo?
Ho ragionato a lungo su quante informazioni trasmettere e come. Quanto devo spiegare e raccontare? Quanto posso tralasciare? Posso solo dire che nella stesura finale ci sono cinquanta pagine in meno e buona parte erano approfondimenti. Detto questo – e grazie al cielo ho un editor fantastico come Giordano Aterini – nella chiusura della trilogia non potevo tralasciare le tematiche la avevano attraversata. Di eroi riluttanti come i miei è piena la storia del giallo, quello che fa la differenza, che rende Dante e Colomba quello che sono, è ciò che combattono. Combattono sapendo che perderanno, ma lo fanno ugualmente.

Colomba è la grande protagonista del suo lavoro anche se il personaggio di Dante risulta, alla fine, più affascinante e ricco di sfumature. Il suo personaggio preferito invece chi è?
A seconda dei momenti parteggio per l’uno o per l’altra. E ognuno di loro ha complessità di scrittura differenti. Dante è stratificato, autodidatta, ha un piede dentro la cultura pop e l’altro nelle stronzate più diverse, non crede ai complotti ma li conosce tutti e non si fida di nessuno. Per raccontarlo, devo fare un enorme e costante lavoro di ricerca. Colomba è meno stratificata, ma dal primo al terzo romanzo ha visto il suo vecchio mondo crollare un pezzo alla volta e ha dovuto ricostruirsi da capo. Lo sforzo con lei è stato emotivo, di immedesimazione.

Lei ce l’ha un posto del cuore dove scrive o dove semplicemente mette insieme le idee?
Le idee ti arrivano in qualsiasi momento, soprattutto quando non le cerchi, e il mio lavoro è quello di raccoglierle e metterle in fila. La prima volta che si presentano di solito non le trascrivo nemmeno, perché se sono buone tornano. Per scrivere, però, ho un posto ideale, che è lo studio della casa delle Marche, se no la cucina dello studio di Milano.  

Se dovesse racchiudere Il re di denari in un’unica frase del romanzo quale sceglierebbe e perché.
L’ultima, perché doveva essere un’altra. Avevo deciso di ambientare un capitolo finale nei musei vaticani, dove Colomba dava la mano a Dante per aiutarlo a superare la paura di entrare. Poi la notte in cui l’ho finito ho capito che l’ultimo capitolo doveva essere quello che avete letto, e la frase è venuta da sola.   

MilanoNera ringrazia Sandrone Dazieri e la Mondadori per la disponiblità
Qui la nostra recensione a Il re di denari

Antonia del Sambro

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