Intervista a Alessandro Robecchi – Follia Maggiore

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Chi è Alessandro Robecchi e quale demone lo ha spinto a scrivere romanzi?
Uh, i demoni li lascerei stare, spero abbiano cose più serie da fare (e che non si occupino di me, grazie!). E’ che io ho fatto il giornalista per molti anni, ho un rapporto molto stretto con la parola scritta e a un certo punto – anche da lettore di noir – avevo in mente una storia e ho deciso di scriverla. Mi piace inventare storie, vite, incroci… non pensavo che il Monterossi sarebbe diventato addirittura una saga, ma ad ogni nuovo romanzo ci sono sfumature nuove, punti di vista diversi. Io tengo molto al funzionamento della trama gialla, credo che il meccanismo debba funzionare senza sbavature. Ma penso anche che in una storia debbano entrare le nostre vite, i posti dove viviamo, la società che ci sta intorno. Un’indagine su un delitto è anche, per forza, un’indagine sull’ambiente, il contesto, la società in cui il delitto avviene.

Ti trasformiamo in un venditore porta a porta per convincere ancora chi non ti conosce a leggere il tuo nuovo romanzo. Stupiscici!
Che imbarazzo! Dirò la cosa migliore che un autore possa dire del suo libro: è venuto come lo volevo io, come lo sentivo e come me lo immaginavo. E’ una storia che contiene rimpianti e malinconie, e forse una piccola lezione sul tempo che se ne va. Al tempo stesso c’è una trama gialla solida e dei segugi di tutto rispetto che battono la città sotto la pioggia. Ogni storia con delitto racconta il bene e il male, ma il modo di declinarli è praticamente infinito. Qui c’è il malessere del ceto medio strangolato dalla crisi, l’ossessione per le cose che abbiamo avuto e non riavremo indietro più. Carlo Monterossi, ancora una volta, ne esce con più domande che risposte, ma anche perché scopre che a certe domande le risposte semplicemente non ci sono…

Parlaci della tua Milano
Milano è una città in cui le diseguaglianze assumono ormai dimensioni enormi, ed essendo una città piccola, queste diseguaglianze vivono gomito a gomito. La narrazione ufficiale della Milano capitale morale, moda, design, alti redditi e grattacieli è molto rassicurante, ma una città così complessa non può diventare una macchietta, e Milano non è solo quello. Dietro il presunto scintillìo del “modello Milano” ci sono ingiustizie e frizioni, c’è un mondo di gente che combatte la sua battaglia per una vita decorosa, e non sempre è una battaglia facile. Carlo Monterossi ha il grande pregio di saper andare su e giù per tutte le scale, le sfumature e le gradazioni della città, può frequentare i salotti eleganti e trovarsi a suo agio nelle periferie più dure. Milano bisogna raccontarla tutta, insomma, non solo la parte che luccica.

Immagina la scena, tu e Carlo siete seduti al tavolino di un bar. Di cosa parlate, c’è anche Oscar o è troppo impegnato per un caffè con gli amici o troppo misterioso per fare due chiacchiere?
Ah, me la farei volentieri una chiacchierata col Monterossi! Probabilmente Oscar starebbe lì zitto ad ascoltare e a scuotere la testa, perché gli piace fare il cinico. Ma il Monterossi no, è tutto tranne che un cinico, anzi, si ficca nei guai proprio perché ha un senso della giustizia molto profondo. Dopodiché, dopo cinque romanzi, il suo carattere è ben delineato, insomma, lo conosciamo bene. E io so che su molte cose non andrei per niente d’accordo con lui. E’ uno che tende alla comprensione, si infila nelle vite degli altri e ne capisce le stropicciature, le pieghe. Insomma, si può dire che è un buono. Parleremmo di tivù, credo, ma anche di Bob Dylan, questo è certo, perché è una passione comune, anzi è un mio grande amore che gli ho regalato… Ecco, almeno questo il Monterossi me lo deve!

La letteratura è semplice intrattenimento oppure qualcosa di più?
Mi spiace, domanda troppo difficile. La letteratura è una delle cose migliori prodotte dall’ingegno umano – ci metterei anche la ruota, o la scoperta del fuoco – e quindi, ovviamente non è solo intrattenimento. Ma può essere intrattenimento, può essere compagnia, stimolo, lezione, bagaglio che poi uno porta con sé per sempre. E’ creare dei mondi e chiamare la gente: ehi, venite a vedere qui dentro! E poi scopri che lì dentro ci sono le nostre vite. Le speranze, i dolori, i dubbi, le paure, le gioie. Insomma, tutti abbiamo un libro che abbiamo amato più degli altri, un personaggio per cui abbiamo trepidato, una storia che ci è rimasta attaccata… Intrattenimento mi pare un po’ poco… anche se intrattenere la gente è una cosa bella, non va sminuita.

La passione per la musica, ne vogliamo parlare?
Io credo che tutto, e quindi anche la parola scritta, la pagina, debba avere un suo suono, un suo ritmo, una sua cadenza. Si può rallentare come in un quartetto d’archi o accelerare come un riff di chitarra elettrica, non è questo il punto. Il punto è che chi legge deve sentire quel ritmo. Le storie di Carlo Monterossi contengono blues. L’ossessione di Carlo per Dylan si spiega molto semplicemente: Dylan è un poeta degli abbandoni, e Carlo ne sa qualcosa… c’è sempre una strofa di Dylan che dice sullo sconforto, sul rimpianto, sulla malinconia, qualcosa di intelligente, e meglio di come lo direbbe lui. In Follia maggiore, poi ho voluto giocare col melodramma, con la lirica. Sonia, la figlia della vittima, è un soprano che si gioca il tutto per tutto in un grande concorso internazionale. Mi piaceva l’idea di avere qualcosa di non contemporaneo come l’Opera, e al tempo stesso attualissimo, perché l’opera è stato il grande romanzo dell’Ottocento italiano. Sentendola cantare, a un certo punto, Carlo pensa: “Quante meraviglie come questa mi sono perso?”. Ecco, la musica è anche stupore, stupefazione. Quanto al Rossini da cui viene il titolo (dall’aria del Turco in Italia, Non si dà follia maggiore) era così sfrenatamente libertino, giocoso, leggero e sfrontato che contiene attimi di pura gioia e Sonia, anche in un momento tragico della sua vita, rivendica quella leggerezza.

Non c’è intervista che si rispetti se non termina con la classica e scontatissima “Progetti futuri”?
È presto per passare oltre. Follia maggiore è partito molto bene e voglio coccolarlo un po’, andare in giro a parlarne, incontrare i lettori, che è sempre una cosa stimolante. Se la domanda intende: c’è già un nuovo Monterossi in lavorazione?, la risposta è no. Se arriverà, lo farà da solo, sarà perché sento che c’è qualcosa da raccontare, insomma è presto, è sempre così quando un libro nuovo esce: non è più mio, è di chi lo legge, e io vivo questo distacco, come se vedessi una creatura che se ne va con le sue gambe… Finché non si posano le scorie, finché questa storia mi resta attaccata non aprirò un altro file… In ogni caso presto i romanzi della serie di Carlo Monterossi diventeranno altrettanti film, questo mi incuriosisce e un po’ mi spaventa… ma credo che dovrò occuparmi del Monterossi anche lì, ed è un’altra sfida…

Qui  la recensione di Milanonera a Follia Maggiore

Milanonera ringrazia Alessandro Robecchi per la disponibilità

Mirko Giacchetti

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