La squadra Minestrina in brodo tra ironia e rigore procedurale. Intervista a Roberto Centazzo


41L7jQPtq8L._SY346_Roberto Centazzo è appena uscito in libreria con l’ultima indagine della Squadra speciale Minestrina in brodo (
Mazzo & Rubamazzo, TEA, gennaio 2109), la quarta dalla prima apparizione di Kukident, Maalox e Semolino (al secolo Mignogna, Santoro e Pammattone), i tre irresistibili poliziotti in pensione, sensibili ai mali sociali che funestano i nostri giorni e che non li lasciano tranquilli a godersi i piaceri della terza età. Una serie, questa della Squadra speciale, salutata da immediati e vasti consensi di pubblico, profondamente diversa dal precedente romanzo Signor Giudice basta un pareggio (TEA, 2013) che aveva per protagonista il giudice Lorenzo Toccalossi, responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Genova.

Inizio proprio da qui, dalle sensibili differenze di registro e di tipologia d’inchiesta che tu adotti nelle due serie: il tono più drammatico che pervade le indagini di Toccalossi, sullo sfondo di una Genova protagonista di un tragico conflitto sociale e criminale, e quello scanzonato anche se non privo di malinconia della Squadra speciale Minestrina in brodo, alle prese con drammi minuti e quotidiani, quelli cui noi stessi assistiamo ogni giorno.
La prima domanda, dunque, parte da qui: ti trovi altrettanto a tuo agio nel raccontare protagonisti e storie così diverse?
Sì, mi trovo a mio agio in entrambi i casi. Nel romanzo Signor Giudice basta un pareggio, scritto a quattro mani con il giornalista Fabio Pozzo, erano raccontate le indagini viste da due differenti angolazioni, da due opposti punti di vista: quello dell’inquirente e quello del cronista di giudiziaria. Non a caso il libro suscitò molto interesse per il fatto che i due autori erano, e sono, per l’appunto un ispettore di polizia (io) e un giornalista (Fabio Pozzo). Il ritmo era serrato, c’era una serie di morti apparentemente casuale, un traffico internazionale di stupefacenti e varie speculazioni edilizie realizzate con i proventi di quei traffici illeciti.
Nella serie squadra speciale Minestrina in brodo invece il tono è quello più rilassato della commedia, ma la serietà dei temi e dei conflitti sociali affrontati è la stessa. Ho volutamente differenziato dal punto di vista stilistico le due storie perché il bello dello scrivere sta proprio nel poter cambiare registro adattandolo al tema scelto e al clima che si vuole raccontare.

Tu sei ispettore superiore della Polizia di Stato, facile dunque comprendere quanto l’esperienza sul campo ti offra spunti e suggestioni per le tue storie. Quel che più mi colpisce però, anche nella serie della Squadra speciale, è la lucidità critica con cui non manchi di denunciare i limiti del tuo mestiere. Un passo di Mazzo & rubamazzo, per esempio, recita così: “E in mezzo (ndr, tra residenti ed extracomunitari), come sempre, i poliziotti, mandati allo sbaraglio a fare da cuscinetto, malvisti dall’una e dall’altra parte, a prendersi gli insulti, gli sputi, gli schiaffi, le pietre, come fossero loro lo Stato che ha compiuto pessime scelte”.
Scrivere per te è uno strumento utile per allentare tensioni e amarezze del mestiere?
Nei miei romanzi della serie Squadra speciale Minestrina in brodo affronto temi seri e socialmente rilevanti utilizzando però il registro della commedia e non quello della denuncia sociale. Non ho mai sopportato coloro che si ergono in cattedra e pretendono di fare la morale, trasformando il giallo in un manuale politico. Sono felice che i lettori apprezzino non solo l’ironia ma anche il rigore procedurale e che abbiano compreso che, ridendo e scherzando, le cose vengono dette, senza mezzi termini, anche quando fanno male e senza dover essere a tutti i costi politicamente corretti.  Eppure ho parlato di argomenti scottanti, lo sfruttamento dei migranti, i reati commessi nei confronti delle fasce deboli, gli anziani soprattutto, e ora, in Mazzo e rubamazzo, le speculazioni effettuate dai poteri forti come la Chiesa, le Banche e la n’drangheta. Con leggerezza, però. No, non scrivo per allentare la tensione o per sopperire alle amarezze del mestiere. Scrivo perché mi piace. Mi ritengo un uomo fortunato: da bambino volevo fare lo scrittore, il poliziotto, l’autore di canzoni, sognavo di condurre un programma radiofonico e di andare a vivere in campagna. Sono riuscito a realizzare tutti questi desideri. Ho una moglie splendida e sei gatti. La pacatezza del mio stile credo dipenda dal fatto che sono sereno. E poi c’è il pieno di romanzi cruenti che parlano di serial killer e che scimmiottano i film americani. Chi vuole può leggere quelli.

RCentazzoNoir mediterraneo e commedia in giallo, sono i due generi che pratichi con maestria nelle due differenti serie cui ti sei dedicato fin qui. E, se il noir mediterraneo appartiene a molti autori italiani che ritraggono il dramma similare di differenti realtà affacciate sul Mediterraneo e accomunate da incanto paesaggistico e degrado socio-criminale, Genova Napoli Sicilia e Sardegna, la commedia in giallo non è genere che ci appartenga in così larga misura.
Come ti poni tra i due e ritieni che l’uno sia strumento più efficace di denuncia dell’altro?
Il genere noir mediterraneo ha in Italia esponenti abilissimi e meravigliosi, dei veri e propri maestri, innumerevoli e straordinari. Al contrario la commedia gialla non era così diffusa. La squadra speciale Minestrina in brodo ha avuto un effetto dirompente. Pensa che il primo romanzo della serie ha ottenuto sei edizioni, ha superato le trentacinquemila copie, ed è fresca di questi giorni l’ultima ristampa. Insomma c’era nel variegato mondo del noir una certa sacralità e il vezzo di prendersi troppo sul serio. Ora, grazie anche ai miei romanzi, si è sdoganato il genere “commedia gialla” e iniziano a esserci i primi “cloni». Ormai è passato il segnale che si possono raccontare storie vere con il sorriso sulle labbra, come per altro accadeva con le indimenticabili commedie degli anni 50 con il cinema di Steno e Monicelli. Io mi trovo bene in entrambi, ma i lettori mi fanno capire che probabilmente il genere commedia gialla è quello a loro più gradito.

A proposito di mediterraneità, trovo che Mazzo & Rubamazzo sia permeato da un colore di fondo, visivo ed emotivo, quasi più napoletano che genovese. I bassi tra i carruggi si aprono svelando una folla variopinta e vivacissima di personaggi minori ma tridimensionali, che paiono catapultati là da Spaccanapoli. Uno tra tutti, Peppe Gargiulo. Per non parlare, dei ras di quartiere – il Cinese, l’Arabo, il Pakistano – che danno vita a una casba di certo più mediorientale che ligure.
E’ così che vedi oggi la tua Genova, sempre più “espropriata”?
Adoro il folclore, adoro i napoletani. Non a caso il più grande scrittore di noir italiano è di Napoli. Sto parlando dell’immenso Maurizio de Giovanni, persona splendida e generosa. Mazzo e rubamazzo è anche un omaggio a lui e alle canzoni napoletane. Pura poesia. Amo le storie che scendono in strada, tra le gente, che non hanno paura di sporcarsi le mani. Il centro storico di Genova, quando ero ragazzo, era il luogo in cui i napoletani vendevano le autoradio rubate, le sigarette di contrabbando e i Rolex falsi. Quella che allora era la criminalità ora fa sorridere. Ho descritto nel romanzo il centro storico genovese di adesso, multietnico, suddiviso a zone non grazie al trionfo di un modello multiculturale ma in base a precisi accordi criminali. Che ovviamente molti fingono di non vedere.

Lo scorso febbraio l’amico Paolo Roversi ha tracciato una interessante mappa degli investigatori “di carta” che alimentano l’industria del giallo italiano. Agli autori dei commissari nostrani spesso però è rivolta l’accusa di connotarli di un grave quanto eccessivo tormento. Kukident, Maalox e Semolino sono diversi: a perseguitarli non è una colpa del passato o l’oscuro male di vivere ma l’età che avanza.  Disincantati per il mestiere che hanno esercitato e per le scelte personali, cercano di godersi la vita e di riparare alle ingiustizie sociali di cui sono testimoni.
Una scelta controcorrente la tua. Come sono nati i protagonisti della Squadra speciale?
Brava, hai usato la parola esatta: controcorrente. Mi ero accorto che il genere stava percorrendo una china senza ritorno: era stata coniata la definizione “giallo locale” nel quale la città era diventata parte della storia e il romanzo si era pian piano trasformato in una sorta di guida turistica, di stradario, con la piazza celebre, il piatto tipico del luogo, il tal monumento e, immancabile, l’investigatore solo, frustrato, lasciato dalla moglie… Così ho deciso che tutti quelli che erano diventai cliché io non li avrei usati. Ho fatto semplicemente questo. I protagonisti sono nati per caso, ho scritto di getto la prima storia, pensando che mai sarei riuscito a pubblicarla. Figuriamoci, contravveniva a tutte le regole: descrizione dei luoghi ridotte al minimo, niente ricette di cucina, i protagonisti non si prendono sul serio, non sono tormentati, hanno talmente tanta esperienza che svolgono con naturalezza indagini complesse. E invece… dopo una settimana l’editore, Tea, lo ha messo sotto contratto, chiedendomene subito un secondo e poi un terzo…

In Mazzo & Rubamazzo, il crimine centrale, una astuta speculazione immobiliare tesa ad appropriarsi di una vasta area del centro storico di Genova,  si dipana grazie alla colpevole alleanza dei poteri forti: politica, curia vescovile, banche e criminalità organizzata.
Qual è il tuo punto di vista di rappresentante delle Forze dell’Ordine, di cittadino e di scrittore sulla nostra attualità?
Viviamo in un’epoca in cui la politica (di qualunque schieramento) non fa altro che ratificare le scelte prese altrove, dalla Borsa, dalla Finanza, dall’Europa. L’unico indice per determinare il benessere di un paese è il PIL. Ma ci rendiamo conto? Non si può crescere all’infinito a meno che non si decida di continuare a produrre e gettare, produrre e gettare, distruggendo mari, foreste e territorio. La felicità delle persone non dipende affatto dal possesso di beni materiali ma dal modo in cui si vive e, per fortuna, anche da ciò che si legge. Siamo tutti responsabili della bellezza del mondo. E io sono fiero di non usare né volgarità né violenza nei miei romanzi.

Sei stato di recente nostro ospite a “Paura sotto la pelle. 2a Edizione”, una rassegna nata proprio come confronto tra autori sul meccanismo di generazione della paura nel lettore e nello spettatore.
Non posso quindi esimermi dal chiederti: che cos’è per te la paura, nella realtà e nella finzione letteraria?
La paura è quella di non farcela. L’unica paura che ho è quella. Vorrei riuscire a scrivere di più. Ho tante storie in mente e sempre meno tempo. Nella finzione letteraria invece credo che la paura sia la stessa da sempre: la porta che scricchiola, il buio, il rumore di passi, il vento che fa sbattere le finestre. Spesso sono così radicate nella nostra mente che pensiamo di vederle e sentirle anche quando non ci sono. Questo aspetto m’intriga molto: la solitudine può creare fantasmi. Ognuno di noi convive con i suoi. Ci sarebbe da scriverci sopra un bel noir!

Ringrazio Roberto Centazzo per la generosa articolazione delle sue risposte e per la franchezza con cui ha argomentato il suo porsi controcorrente nei confronti di certi stereotipi della narrativa italiana di genere giallo e noir.

ROBERTO CENTAZZO, in giovane età, attorno ai sette anni, decide che da grande avrebbe fatto lo scrittore. Di polizieschi. Non sapendo come fare a pubblicare un romanzo, inizia a spe-cializzarsi: si laurea in giurisprudenza col mas-simo dei voti, esercita la pratica forense, con-segue l’abilitazione al-l’insegnamento e poi, per conoscere da vicino le tecniche investigative, si arruola in Polizia (ora, è ispettore capo).

Dopo una lunghissima gavetta come autore, durante la quale sforna una decina di romanzi, nel 2013 pubblica con la casa editrice TEA il romanzo Signor Giudice, basta un pareggio, scritto a quattro mani con il giornalista Fabio Pozzo. Nel 2016 esce, sempre per TEA, Squadra speciale Minestrina in brodo, che arriva alla quarta edizione in pochi mesi, entra nella classifica dei gialli più venduti e viene riproposto anche nella prestigiosa collana Italia Noir allegata a Repubblica /l’Espresso della quale risulta in assoluto il più venduto. Ad esso fa seguito nel 2017 Squadra speciale Minestrina in brodo: Operazione Portofino, accolto dai lettori col medesimo entusiasmo e presentato anche a RAI radio 2 nel programma Radio due come voi con Tiberio Timperi. A gennaio del 2018 è uscito il terzo romanzo della serie, Operazione Sale e Pepe, seguito a gennaio 2019 da Mazzo & Rubamazzo.

Apprezzato autore di short stories, i suoi racconti brevi sono stati pubblicati per diverse settimane sul quotidiano Il Secolo XIX. Ha curato l’antologia Genova Criminale, (Novecento editore) in cui è contenuto il suo racconto La ragazza al centro della foto. Altri racconti figurano in prestigiose antologie.

Nel 2015 ha vinto il Premio internazionale Firenze Capitale d’Europa per la qualità dell’opera letteraria. Ha vinto inoltre il premio letterario Il libro parlante e il Premio editoria Indipendente di qualità. Nel 2017 l’Accademia Res Aulica gli ha assegnato il Premio Scrittori con Gusto. 

Qui la nostra recensione a Mazzo e Rubamazzo
MilanoNera ringrazia Roberto Centazzo per la disponibilità

Giusy Giulianini

Potrebbero interessarti anche...