Joyland



Stephen King
Joyland
Sperling & Kupfer
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A distanza di trent’anni Devin Jones ancora non ha capito perché quell’estate del 1973 Wendy Keegan lo lasciò. L’abbandono lo lacerò dentro come solo un amore spezzato è capace di fare, ma Devin è sopravvissuto ed è riuscito a cucirsi la ferita. Ha superato anche un cancro alla prostata e oggi è un vecchio giornalista che ha fatto la sua parte. Devin ritorna però a quell’estate. Quando, in piena crisi sentimentale, trova un lavoro per la stagione al parco divertimenti di Joyland, come factotum in cerca di nuova energia, in compagnia di persone e personaggi che sembrano calati da un altro mondo. L’esperienza è così piena che Devin decide di restare anche l’inverno per la manutenzione dell’intero impianto. La terra della gioia è stata in passato teatro dell’omicidio e del ritrovamento del corpo di una ragazza sgozzata nel Castello del Brivido. Un delitto a lungo irrisolto che vivifica nella sua mente anche grazie a una ricerca portata a termina da una sua amica (Erin) in virtù della quale viene a sapere che quel fatto di sangue non fu affatto isolato. Tante altre ragazze avevano fatto un’orrenda fine, ma nessuno riuscì a vedere quel fil rouge che Devin inizia a percepire. Ora tocca a lui indagare. E lo fa grazie anche a Tom, un ragazzino di 10 anni malato di distrofia muscolare e condannato a morte certa nel giro di qualche mese, ma dotato di un potere soprannaturale: vedere e sentire cose e presenze invisibili. Tra i due sorge un’amicizia spontanea. Devin capisce di dover mettere ogni suo sforzo per risolvere il caso non solo per un’umana istanza di giustizia, ma per oltrepassare quella linea esistenziale che lo tiene ancorato a una sofferenza che non riesce a superare: il ricordo di Wendy e del tempo passato insieme. Joyland appartiene alla produzione letteraria più poetica di Stephen King, quella che raccoglie Il Miglio Verde e Uscita per l’Inferno tanto per intenderci. Scrittura pacata, storia intima e minima, malinconia e sentimenti calpestati a far da motore. Le pagine scorrono, la lettura non conosce ostacoli di tempo, stanchezza visiva e inquinamento acustico. È ovvio, parliamo di Stephen King. Ma lo spirito che aleggia su questo romanzo tende più al realismo magico che ai botti in stile horror & fantascienza. L’ossessione, materia che non invecchia mai per la buona riuscita di un romanzo “di paura”, fa capolino, ma è tenuta a bada con la perizia dell’autentico scrittore, ogni gesto è misurato, ogni sviluppo evita la faciloneria del colpo di scena. Insomma, un romanzo magnifico che può portare anche agli occhi lucidi nelle ultime trenta pagine. E la figura del bambino Tom è la prova che l’autore di Portland è forse più interessante oggi a 65 anni che quando veniva acclamato genio della letteratura. Quel personaggio vale da solo il libro. Superbo il finale. Per metafora e narrazione.

Corrado Ori Tanzi

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