Una storia nera, cupa, come la Basilicata profonda, simbolo di un Sud sanguigno e attaccato alla “roba” di verghiana memoria, ambientata tra il 1959 e l’inizio del 1970. “La scatola di cuoio” di , Fazi Editore, parte dalla figura poco trasparente di don Pantaleo, un ecclesiastico che, con manovre tutt’altro che cristiane, è riuscito ad accumulare una fortuna, fatta di soldi, case, terreni. Ma anche di amori clandestini, di usura, di gestione del potere insieme con i notabili del Paese, che hanno la fortuna di essere invitati al suo desco per cene in cui danno fondo a cibi e vini prelibati.
Un personaggio molto chiacchierato e molto temuto, don Pantaleo, che viene trovato morto accasciato su una misteriosa scatola di cuoio, dal contenuto segreto. Intorno alla scatola, ai misteri che potrebbe spiegare, alla guerra che si scatena per l’eredità del prelato tra i parenti, Spinelli costruisce una favola nera, che evolve anche in una sorta di giallo sociale. Fra intrighi e colpi di scena, traccia un percorso di conoscenza dei sette vizi capitali, praticati da contadini, nullafacenti, sempliciotti, piccoli artigiani che, spinti dall’avidità, si avventurano in imprese più grandi di loro o talmente meschine da rimanerne totalmente prostrati quando non riescono a raggiungere l’obiettivo.
Una vera e propria immersione nei sentimenti peggiori che l’umanità possa esprimere, ma con una leggerezza da commedia, con sorprese beffarde, nelle quali l’autore si prende gioco dei suoi stessi personaggi. Sembra quasi che Spinelli non riconosca loro la dignità di personaggio, ammaliato com’è dal protagonista apparentemente minore, quello meno sensibile alla “roba”, un sentimentale un po’ ingenuo, sognatore, e in grado per questo di elevarsi sulle brutture della compagnia di giro, che ruota intorno all’eredità di don Pantaleo. Personaggi tratteggiati con pennellate veloci, con una scrittura impressionista, che fonde l’immagine con i caratteri spigolosi, netti, brutali, assolutamente meridionali, anzi lucani. Sì perché la Basilicata dalle mille storie misteriose, quella dei paesi fantasma, quella dei briganti, non è soltanto lo sfondo della vicenda, ma uno dei protagonisti. Inevitabile che, in questo panorama, la soluzione del mistero della scatola di cuoio suoni come una beffa per tutti.
Spinelli è giornalista di lungo corso e scrittore con una grande sensibilità verso le storie particolari, di nicchia, come quando raccontò del portiere che poteva fare il gesto delle corna all’arbitro, senza essere espulso perché gli mancavano medio e anulare. Questa sua capacità di cogliere gli aspetti più ironici della realtà che ci circonda, si ritrova nella “Scatola di cuoio”, in una scrittura snella, dove intreccia la storia principale con la satira di costume, il Mezzogiorno più iconico e le storie dei singoli personaggi. All’apparenza figurine, questi ultimi, che per il loro ruolo potrebbero avere poco da raccontare, e invece la tensione verso l’eredità li rende campioni in negativo, regalandogli uno spessore inizialmente inimmaginabile.
Al cacciatore di storie Gianni Spinelli abbiamo rivolto alcune domande.
Dove trova queste micro-storie surreali, ma vere?
“Sono curioso per mestiere, mi hanno sempre interessato, come giornalista prima e come scrittore poi, le vicende minori, chiuse in un colonnino in cronaca o nelle “brevi”. La vera umanità è tutta chiusa in quelle poche righe, quindi sono un divoratori di giornali, ma posso contare anche su amici che me le raccontano. Qualche esempio? Qualche anno fa mentre scorrevo rapidamente il tabellino di una partita di calcio minore lucano, Tricarico-Ferrandina, notai che alla voce “spettatori” c’era scritto: uno. Come non incuriosirsi? Cercai di saperne di più che quell’unico spettatore era un autotrasportatore, padre di uno dei calciatori in campo. E da lì, immaginare una storia diventa quasi obbligatorio. O come quando lessi di uno psicologo lucano che curava le pecore depresse”.
La Basilicata la ispira molto.
“La Basilicata è una regione bellissima, piena di paesi piccoli, che non sembrano veri, spopolati, con ombre e misteri. Il Materano da sempre ha attratto intellettuali e registi, dal confinato Carlo Levi (Cristo si è fermato ad Eboli) a Pasolini, da Francesco Rosi a Mel Gibson. Matera e i paesi della sua provincia mi hanno dato sempre l’impressione di una natura morta: ho visto i fantasmi di Craco, dove è rimasto un solo abitante, ho fantasticato a Valsinni, rivisitando la storia di Elisabetta Morra, la giovane poetessa uccisa dai fratelli per una relazione proibita. Insomma, questo ambiente, tra il surreale e il reale, tra il c’è e non c’è, mi è sembrato ideale per la mia favola nera, la location in grado di rappresentare i miei personaggi e le mie atmosfere. La scatola di cuoio, nel mio immaginario, poteva stare soltanto a San Clemente, il paese che esiste e non esiste”.
Come nasce la storia della “Scatola di cuoio”?
“Nasce da un input casuale. A me piace osservare ed ascoltare, ho tanta curiosità, alla base di chi vuole e deve raccontare storie: il giornalista e lo scrittore, se vogliamo, sono «bracconieri», rubano qualcosa. Ecco, un tizio mi raccontò di una scatola di cuoio, con dentro un aggeggio strano, una scatola ricevuta in eredità, addirittura scelta, da una zia ricchissima. Aveva avuto una miseria, ma era l’unico erede felice. Felice perché? Per me divenne un’ossessione: il tizio rimase lì, in un angolo della mia mente, per poi saltare fuori in questa storia. Uno scrittore non inventa niente: raccoglie frammenti, li viviseziona e quindi vede personaggi, location, situazioni”.
MilanoNera ringrazia Gianni Spinelli per la disponibilità