L’ultimo pinguino delle Langhe – Orso Tosco



Orso Tosco
L’ultimo pinguino delle Langhe
Rizzoli
Compralo su Compralo su Amazon

Il suo nome è Gualtiero Bova, ma tutti lo chiamano “il Pinguino”, a causa del suo corpaccione a pera, spalle un po’ curve, pancia da buongustaio che compensa le amarezze della vita bevendo e mangiando di gusto, braccia corte, sproporzionate rispetto al resto, così come gli occhi, piccoli “da orologiaio cinese, confinati in una faccia da cacciatore di balene”. Come se non bastasse, sembra che su quelle spalle curve si siano riversati tutti i mali del mondo: l’unica donna amata e persa; un trasferimento/promozione nelle Langhe dalla sua natìa e adorata Liguria, perché ha denunciato alcuni colleghi corrotti; una sorta di idiosincrasia congenita per le armi da fuoco; uso di gocce illegali per combattere la depressione, che però gli slatentizzano una anomala forma di aiku: parole raggruppate in quartine con tanto di rima baciata, che emergono nei momenti di possibile svolta della storia e che contengono gli elementi per la soluzione.

Insomma, un personaggio che non passa inosservato, quello creato da Orso Tosco in “L’ultimo Pinguino delle Langhe” ed. Rizzoli, e che promette di ritagliarsi uno spazio ben riconoscibile, quanto la sua sagoma, all’interno del panorama del giallo e del noir italiano. Perché nella sua dolente indolenza è racchiusa una grande umanità, un investigatore intelligente e caparbio, ironico quanto basta senza scivolare in facili piacionerie,  capace di esercitare il dono prezioso del dubbio. Caratteristica quest’ultima che promette a breve una nuova storia con il Pinguino protagonista.

La vicenda.

Un potente uomo d’affari svizzero, Rufus Blom, alla viglia delle sue nozze, durante la consueta corsa mattutina si imbatte nel cadavere di una ragazza. Sulla schiena della vittima qualcuno ha tracciato con il sangue della stessa una svastica e il cognome del manager. Un macabro messaggio minatorio che dà il via a un’indagine molto complessa, che vede il Pinguino destreggiarsi tra le difficoltà per risalire all’identità del cadavere e una scia di sangue che si allunga con altre vittime necessarie a coprire tracce, depistare, confondere le acque. A questo si aggiungono le pesanti ombre di pratiche oscure, il passato non proprio limpido di Blom ma soprattutto della sua famiglia, personaggi senza scrupoli coperti dalla propria posizione sociale, manovali del crimine e una squadra di colleghi che non brilla per efficienza e acume investigativo. Il tutto con lo sfondo di una natura dolce, misteriosa, confortevole, affascinante, morbida, quasi sinuosa. Ambientazione descritta in maniera magistrale da Tosco che, evidentemente, la conosce bene e l’ama molto.

Una storia complicata, dura, ma terribilmente credibile, vera, palpitante, che mette a nudo traffici cruenti, in cui la vita non ha alcun valore, con un “grande vecchio” che tira i fili e che rappresenta gli aspetti più torbidi e sadici della natura umana.

Orso Tosco racconta una vicenda ben costruita, con una scrittura scorrevole e incalzante al punto giusto, con una conclusione che lascia l’amaro in bocca allo stesso commissario Bova, perché gli suona un po’ artificiosa, pur se formalmente corretta, come se fosse stata preparata da qualcuno: una volta si sarebbe trattato di una polpetta avvelenata. Ed è proprio la conclusione che lascia inevitabilmente spazio alla prossima puntata che vedrà in campo di nuovo il Pinguino.  Un investigatore molto umano che farà breccia nel cuore dei lettori, che potranno rivedere in lui anche le proprie fragilità, i dubbi, la malinconia degli affetti perduti, le contraddizioni.

Michele Marolla

Potrebbero interessarti anche...