WW (DiRottamenti) – Inutili prigioni

Mi ha colpito una breve notizia apparsa il 19 gennaio sul Corriere della Sera: “La moglie del presidente iraniano (qui sopra nell’unica foto disponibile) ha scritto una lettera alla First Lady egiziana. Nel messaggio, la signora Ahmadinejad le ha chiesto di convincere il marito Hosni Mubarak a lasciare passare gli aiuti ai palestinesi nella Striscia di Gaza attraverso la frontiera egiziana, prevenendo così «la collera di Dio»”.

L’unica foto disponibile a cui si fa riferimento è un curioso ritratto nel quale il presidente iraniano compare nella sua solita tenuta da idraulico bulgaro. Accanto a lui c’è una sorta di lungo sacco nero, sulla cui cima pare di scorgere un naso: la First Lady iraniana. Sul fatto che la signora scriva non avevamo dubbi: le persiane sono tra le donne più colte al mondo. Piuttosto viene da chiedersi che forza possa avere l’appello di un fantasma. Esiste? E se sotto quel sacco ci fosse lo zio del presidente?

La lettera però mi ha ricordato un’altra lettera, molto più antica: la regina egiziana Nefertari (nata nel 1295 a.C. e morta 40 anni più tardi) aveva contatti epistolari e scambiava doni con la regina degli Ittiti Puduhepa e ciò ebbe un’influenza positiva sul processo di pace fra i due popoli, all’epoca molto nemici. Gli Ittiti, guarda caso, in quel periodo occupavano anche la Palestina (arrivavano dall’Asia minore).

Scrisse dunque Nefertari a Puduhepa: «Possano il dio Sole d’Egitto e il dio della Tempesta di Hatti portarti gioia. Il dio Sole faccia sì che la pace sia buona fratellanza al Gran Re di Hatti». Non fu l’unica lettera che una sovrana egiziana scrisse ai “colleghi” ittiti: Ankh Esen Amon, giovane vedova di Tut Ankh Amon, addirittura chiese in sposo a Suppiluliuma, sovrano degli ittiti, un giovane principe, a cui avrebbe promesso amore eterno e la possibilità di regnare sull’Alto e Basso Egitto. Finì malissimo.

In ogni caso mi sembra che non si siano fatti grandi progressi nell’area. Anzi, per quanto riguarda le donne, si è andati un po’ indietro: Puduhepa portava una lunga tunica e un vezzoso cappellino a cono ma mostrava il volto. Tutto questo, curiosamente, per suggerirvi uno spettacolo teatrale. Si intitola India, è di scena sino al 25 gennaio al Teatro Leonardo di Milano e poi in tournée in vari luoghi (lo produce il teatro stabile di Genova, Mercadante). Lo ha scritto e lo interpreta Mara Baronti, una delle pioniere del teatro di parola, e racconta, in modo semplice e appassionante, la complessa mitologia indiana e la nascita del mondo. Belle le immagini, le musiche, i canti e le danze di Cristina Alioto e Patrizia Belardi.

Ma bello, soprattutto, un mito originale in cui le donne e le dee sono nude e forti, desiderabili e desideranti. E, pur nella violenza degli eventi, il corpo trionfa nella sua limpida bellezza. L’estetica non è tutto, ma dice molto: le donne chiuse nei sacchi neri sono così in catene da non poter essere autorevoli neanche quando scrivono da (quasi) Capi di Stato.

valeria palumbo

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