Intervista a Giulio Laurenti

madre_dell_uovoGiulio Laurenti, nella sua seconda vita, dopo una prima trascorsa a coltivare viti ed ulivi nella campagna vicino a Roma, è scrittore di successo, prolifico e versatile.
La sua opera più famosa, fino a poche settimane addietro, era Suerte, storia vera di un ex narcotrafficante divenuto stilista. In queste settimane è uscita la sua ultima fatica, La madre dell’uovo.

Giulio, come Suerte, anche La madre dell’uovo è una storia di vita, e di morte, vera. La realtà offre spesso più spunti narrativi della fantasia?

Ho scoperto con Suerte che la mia scrittura sgorga meglio se si attiene a fatti realmente accaduti, almeno in parte, e così molti miei racconti nascono da un dialogo o da un fatto ascoltato o vissuto. Il romanzo La madre dell’uovo è nato da una conversazione su un dettaglio orrendo accaduto a piazza Alimonda e è così anche la storia di un’indagine.

Nella mia recensione su Milanonera, ho scritto che la tua nuova fatica non è facile da “classificare”… Non è un romanzo giallo, non una docufiction, non un’inchiesta, ma allo stesso tempo tutto questo insieme e molto di più. Quale autore, come definiresti la tua creatura?
La bellezza della forma romanzo è che ogni epoca ne ha una sua. Io leggo romanzi anche nati dalla fantasia visionaria dell’autore ma prediligo scrivere vicende molto reali. Come definire La madre dell’uovo? Un romanzo realmente accaduto?

Il successo di un libro è dato da molti fattori. Fra questi, secondo me, anche il titolo, che in questo caso trovo molto particolare ed intrigante. Tu dai parecchi indizi per comprendere il concetto che sta alla base appunto di un titolo del genere, concetto che ritengo sia anche una delle chiavi di lettura dell’opera. Puoi accennarne brevemente ai nostri lettori?
Crisippo nel quinto secolo avanti Cristo disse che ciò che genera è madre del generato. Poi, secoli dopo, Diogene Laerzio lo smentirà: la gallina non è madre dell’uovo. Causa ed effetto non sono mai così linearmente collegati. Qui abbiamo l’uovo (piazza Alimonda e la morte di Carlo Giuliani, 2001) e una gallina (i traffici del servizio segreto italiano in Somalia, nel 1994, con la morte della giornalista Ilaria Alpi). Di cosa è madre questa gallina che descrivo? Della Gendarmeria Europea, un mostro giuridico che nessuno conosce e che è stata ideata proprio dal gruppo di potere che in Somalia fece un patto di sangue, rinnovandolo a Genova sette anni dopo. Stessi nomi che poi ai giorni nostri ritroviamo in questo misterioso corpo falsamente definito europeo. Hanno unito i mezzi della CIA al potere dell’FBI con gli uomini delle forze speciali, dotandoli di extraterritorialità delle loro sedi, intangibilità dei loro archivi e impunibilità dei loro membri. E’ stat votata dal parlamento italiano nel 2010!

Senza voler anticipare più di tanto, il libro espone, in modo documentatissimo e completo, una tesi inquietante. La morte del giovane Carlo Giuliani durante i disordini del G8 a Genova e l’assassinio di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio, sette anni prima, sarebbero legati da un sottile filo rosso, anzi, per essere precisi, nerissimo. Veramente tu scopri questo cupo legame possiamo dire “per caso”, oppure era un’idea che già avevi in precedenza?
Mi sono addentrato nell’indagine (durata approssimativamente cinque anni) come un cittadino qualsiasi, spesso incredulo delle nefandezze perpetrate da gruppi di uomini collegati tra loro e appartenenti al servizio segreto. Ho lasciato nel testo anche supposizioni che man mano si rivelavano fallaci. Nessuna tesi di fondo, è il lettore a tirare le somme. Certo, i nomi ne La madre dell’uovo ci sono, e la paura vissuta anche.

Alcuni dei fatti e delle teorie di cui parli nella Madre dell’uovo sono stati già ovviamente presentati altrove, ma forse nessuno prima aveva mai provato a porli tutti in correlazione in modo così organico. Cosa hai provato, via via che procedevi nel tuo faticoso lavoro di ricostruzione, mentre il tutto si ricomponeva in un grande, cupo affresco della realtà italiana ed europea di questi decenni?
Incredulità, sconcerto, paura e rabbia. Molti assassini in divisa hanno ancora incarichi importanti negli apparati dello stato italiano, molti complici e molti corrotti. Perché poi alla fine si tratta di affari: armi, rifiuti tossici e spese militari nelle missioni estere.

La Madre dell’uovo, qui non sveliamo nulla, perché se ne è già parlato altrove, rappresenta un quadro, assolutamente fosco ed inquietante, in particolare della realtà italiana. Intrecci tra politica, servizi più o meno deviati, ecomafie, traffico di armi ed altro ancora, senza trascurare agganci a livello internazionale (ad esempio, fai circostanziati riferimenti alla creazione della Gendarmeria Europea, che diventerebbe una sorta di super-polizia destinata a rendere conto soltanto a se stessa…). Tu pensi che il nostro futuro presenti concretamente rischi di una involuzione in senso pesantemente antidemocratico oppure il Paese, con un’espressione un po’ abusata, ha ancora in sé gli anticorpi per reagire di fronte a questo pericolo?
Dentro di me ci sono anti-corpi per non accettare supinamente una chiarissima involuzione autoritaria dell’ordine pubblico in Europa e quindi suppongo che tanti altri alberghino nell’animo i medesimi anti-corpi. Il problema è rendere il tema palese, visibile e soprattutto sciogliere la Gendarmeria Europea quanto prima.

Durante il lavoro di documentazione, hai avuto modo, fra l’altro, di incontrare direttamente molti “testimoni”, dai famigliari delle vittime, ad ex ufficiali dell’Arma ad esponenti dei servizi; hai avuto sempre l’impressione che tutti fossero assolutamente sinceri con te, oppure spesso hai avuto la sensazione che qualcuno tentasse di propinarti una verità, per così dire, preconfezionata?
Nei corpi dello stato alcuni parlano per dare fastidio a colleghi più ammanicati e potenti. Altri per il piacere di sentirsi in segreto fuori dal coro. Agli agenti segreti non interessa la verità ma forse l’uso che loro possono farne.

Sicuramente, quando si seguono per molto tempo la vita o la morte di una persona, capita di affezionarvisi. Intorno alla figura di Carlo Giuliani avevi già pubblicato una raccolta di scritti di altri autori. Ti è mai capitato di immaginare chi sarebbe oggi Carlo, se la sua esistenza non fosse stata interrotta in quel pomeriggio d’estate del G8?
Spesso. Ho letto le cartoline ironiche che mandava alla famiglia, molte belle, intelligenti. Con Carlo forse ho avuto in comune certi sbandamenti, lui a venti anni, io a sedici. Conoscevo bene, da ragazzo, sua zia Anna Gaggio, libraia in Roma dove la sua L’Uscita era per me un punto di riferimento. Ogni vita troncata proietta un’ombra su ciò che non è potuto essere.

Durante la stesura del libro, ti sei sentito più volte pesantemente controllato e minacciato; intercettazioni, pedinamenti, incursioni sul pc, forse anche la manomissione della tua autovettura. Hai mai pensato che la tua vita e quella dei tuoi famigliari fossero realmente e concretamente in pericolo?
La manomissione dello sterzo fu uno spartiacque. Però c’è in me, ancora, una sorta di leggerezza che impedisce alla paura di impormi retromarce. Mio nonno materno nascondeva ebrei in casa nella Roma occupata dai nazisti e spesso, da ragazzino, mi chiedevo se lui non avesse avuto terrore dei torturatori di via Tasso. E mi domandavo (ci ho scritto un libro ancora inedito che spero uscirà il prossimo anno) come potesse mio padre aver parteggiato giovanissimo per Salò. Ci sono scelte, piccole o grandi che siano, che uno deve illuminare con la luce degli esempi migliori che conosce: la paura creò terribili liti di coppia e immagino le risate che si facevano quei cupi individui che ci spiavano in casa, eppure abbiamo retto bene.

Consentimi un’ultima domanda… Ci vuoi dare qualche anticipazione su quale sarà la tua prossima fatica letteraria?
Sto scrivendo tre libri in contemporanea: uno sul desiderio erotico, sulla spinta che la molla del desiderio imprime alle vite di alcune persone, spesso devastandone la quotidianità. Un altro romanzo (breve) è su un eremita del 1500 e sulla sua perdita della fede. Il terzo è su un ragazzo che incontrai a Managua quando avevo 18 anni e sull’incredibile intrigo internazionale che quasi lo stava uccidendo.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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