Una storia vera. O meglio un’attenta e plausibile ricostruzione biografica della vita di un killer. Il più letale d’Europa? Forse… O come suggerisce in conclusione lo stesso Andrea Galli, altri giovani e gelidi assassini, come lui addestrati e trasformati in letali macchine da guerra, lucidi esecutori privi di anima, sono attualmente in circolazione pronti a colpire. Quanto vale o può valere sul mercato la vita di un uomo? Per Julian Sinanaj, gelido e implacabile professionista della morte, dai 10.000 ai 40.000 Euro. Sinanay era un invisibile, inafferrabile e infallibile killer ambidestro che uccideva sparando indifferentemente con le due mani. Di lui, nato a Elbasan, Albania, il 17 febbraio del 1983, che nel 2014 quando fu tradito e imprigionato aveva solo trentun anni, non si hanno notizie su più di metà della sua vita. Si sa da dove viene, che a circa tredici anni è arrivato in Grecia con il padre (dal quali si è separato presto) seguendo i soliti canali migratori spesso fatali seguiti dal popolo albanese, e si conosce per certo la data del suo arresto da parte della polizia albanese nel 2014. E nient’altro. Niente di cosa abbia fatto al suo arrivo in Grecia e come, perché e quando sia diventato un sicario. La storia, che Andrea Galli gli regala in questo libro, lo fa partire da Elbasan, città di centomila abitanti nel centro del Paese. Una città inesorabilmente schiacciata dal “Kominati Metallurgik” ,mostruoso complesso metallurgico per fornire acciaio al Partito sotto l’orrenda dittatura di Enver Hoxa. Sotto il suo sanguinario regime non esisteva più criminalità, la dittatura aveva dato persino ordine di scardinare il Kanun, il codice tribale quattrocentesco che regolava la vendetta negli affari di sangue. Il Kanun(o dovere della vendetta) prevedeva la possibilità di vendicare un morto ammazzato, uccidendo “entro un giorno” un parente maschio dell’assassino, anche neonato, ma in seguito (fino al novecento) il limite temporale era saltato. Si poteva rifarsi e colpire persino decenni dopo. Unica cosa positiva dunque attribuibile a Hoxha che riuscì a fermare quella crudele follia, dando ordine di seppellire ancora vivo nella bara della sua vittima chi avesse ucciso in nome del Kanun. A Elbasan, dove l’inquinamento aveva infettato i terreni fino ad almeno mezzo metro di profondità e dilagavano i casi di mostruose nascite di bambini e animali, Julian Sinanay miracolosamente nato sano, ha continuato a vegetare fino al 1991, sei anni dopo la caduta del regime di Hoxa, quando l’Albania pur avendo indetto libere elezioni era in preda alla guerra civile e si era trasformata in un fertile terreno per mafie e cartelli di droga. Poi nel 1996 a tredici anni, la scelta obbligata della partenza verso la Grecia con il padre. In gruppo con altri albanesi, una marcia clandestina per nove giorni e otto notti tra i boschi, lungo pericolosi sentieri fino a superare le montagne al confine con la Grecia, per poi dividersi e dopo altri undici giorni arrivare finalmente a Salonicco. Ma là saranno solo degli stranieri senza nome e senza diritti. Per il padre la costrizione di un lavoro per una paga da fame. Ma per Julian no, lui sceglie un’altra strada, non vuole piegare la testa, vuole attaccare, vendicarsi, uccidere. Lo fa, si fa notare e la mafia georgiana, che domina incontrastata la periferia della città e intravede in quel ragazzino le potenzialità di un sicario, decide di servirsene. Il noviziato, a cui lo sottoporranno, per guadagnare l’affiliazione e si rivelerà un durissimo tirocinio – che comprenderà conoscenze di medicina, chimica e soprattutto di tutte le arti marziali – andrà a buon fine trasformando Julian in una specie di macchina da guerra, un perfetto artificiere e un virtuoso dell’omicidio su commissione. Gli gioveranno certe sue doti caratteriali, non ama l’esibizionismo, e un meticoloso fautore dell’ordine, riesce a dominare le emozioni, sa leggere ogni particolare della scena del crimine e può sparare con entrambe le mani. Sinanaj era diventato un perfetto killer professionista. Non ha mai commesso un errore. Andava, uccideva e fotografava. Fotografava sempre le sue vittime con il telefonino, per fornire la prova dell’esecuzione ai mandanti degli omicidi. Arruolato da diverse formazioni criminali, sicuramente giorgiani, russi e albanesi Julian Sinanay ha firmato per più di dieci anni una serie di delitti legati a doppio filo con intrighi e trame internazionali, a gruppi terroristici e a servizi segreti, Julian Sinanaj (che si pronuncia «Cùlian» con l’ accento sulla prima «a» del cognome), è un giovanotto di buona presenza, senza segni particolari. Sapeva muoversi sempre sottotraccia senza farsi notare, neppure avesse la capacità di autocancellarsi. Era un uomo che si radeva due volte al giorno, vestiva casual ma sembrava sempre appena uscito da una sartoria. Amava i classici russi e assecondava i desideri di Lubinka, sua compagna per un periodo, bellissima spia russa alla James Bond, che prima di fare sesso in una lussuosa camera d’albergo gli chiedeva sempre di leggerle un racconto di Tolstoj. Quando dopo l’arresto, Sinanaj fu portato davanti al prokuròr, il procuratore albanese, ammise solo ciò che voleva ammettere. E quando il magistrato gli chiese perché si fosse fatto catturare senza reagire, rispose con indifferenza perché era stanco. Il sicario più letale d’Europa, i giudici di Tirana hanno ipotizzato fosse l’artefice trentaquattro omicidi, ma Sinanaj ne ha ammessi solo una minima parte di quelli attribuitigli in Albania che gli sono valsi una condanna a venticinque anni di carcere, e si è sempre rifiutato di rispondere agli inquirenti greci che indagavano su dieci delitti commessi tra Atene e Salonicco. I suoi spostamenti potrebbero collegarlo a certi omicidi in Italia… Psicologi, criminologi e vari esperti hanno sviscerato il suo curriculum, la sua anamnesi, alla ricerca del motivo che ha fatto di lui un killer seriale. Hanno scavato nelle sue origini: famiglia operaia albanese al tempo del comunismo quando tutti erano spie di tutti e non si poteva nemmeno comprare un elettrodomestico per non passare per Amerikani. Rivincita? Ataviche abitudini di violenza? Uhm, l’ipotesi fa a pugni con il profilo di un perfetto sicario, tecnologicamente aggiornato, una macchina per uccidere calibrata, oleata, di spietata efficienza, a sentimenti zero. Il suo è stato solo un business o almeno pare, insomma niente di personale. O forse istintivamente mirava a riportare l’ordine dov’era il caos? Che usasse la morte per “resettare” il file di un mondo (guerre, crolli di imperi, rivolte, saccheggi, miseria nera) in cui gli è capitato di nascere. “Sicario” si rifà al verbale di polizia legato a una storia vera, è come il dossier di un pedinamento, legato a un’esistenza. Andrea Galli non cede mai al romanzesco (non ce n’è bisogno, la realtà è tale che neppure la fantasia più sfrenata potrebbe mai immaginarla) e si limita a ricostruire (e lo fa bene) la storia di un uomo programmato per uccidere.
Andrea Galli(1974) vive a Milano ed è cronista del “Corriere della Sera”. Con Rizzoli ha pubblicato Cacciatori di mafiosi e Il patriarca; con Mondadori Carabinieri per la libertà e Dalla Chiesa.
Il sicario- Andrea Galli
Patrizia Debicke