Tutti i miei romanzi nascono seriali. Intervista Fabiano Massimi


Cominciamo dalla fine… Il prossimo 10 maggio esce il tuo nuovo romanzo “I demoni di Berlino”. Dopo il successo de “L’Angelo di Monaco” Il commissario Sauer torna ad investigare nella Germania nazista. Puoi darci qualche anticipazione sulla trama di questa nuova indagine?
Il romanzo si apre quasi un anno e mezzo dopo la conclusione del caso Raubal, nel febbraio del 1933. A quel punto Adolf Hitler è già divenuto Cancelliere della Repubblica di Weimar, ma il suo potere è quasi solo nominale. Di fatto il Partito di cui è segretario sta perdendo consenso, e il governo si prepara a sostituirlo dopo l’esito delle elezioni previste per il 5 marzo. Ma i nazisti non hanno intenzione di starsene con le mani in mano ad aspettare i risultati delle urne, e anzi dalla metà di febbraio vanno preparando qualcosa di eclatante per sovvertire la fragile democrazia tedesca. L’ex commissario Sauer, senza volerlo, ci si ritroverà invischiato mentre è alla ricerca di una donna scomparsa nel cuore di Berlino – una donna che è stata molto importante per lui, e anche per i lettori dell’Angelo di Monaco: la sua amata Rosa Weiss.

L’Angelo di Monaco è stato un successo internazionale. Al centro della vicenda c’è una donna innamorata, Geli Raubal, nipote di Hitler, che contrappone l’amore al potere e alle sue dure e tristi dinamiche. Geli è forse la prima vera vittima del nazismo ed è una donna, dimenticata e sepolta dalla storia e dal tempo. Raccontare la sua vicenda è stato come darle riscatto, ridarle dignità. Quanto può essere importante, secondo te, riportare alla luce le storie dei tanti personaggi diventati vittime innocenti delle folli scalate al potere?
Difficilmente si può immaginare uno scopo più nobile per la letteratura che quello di restituire voce a chi non ne ha più, vuoi per l’accumularsi inesorabile degli anni, vuoi per precisi maneggi politici. Geli Raubal, a causa dell’immenso scandalo causato prima dalla sua vita e poi dalla sua morte, venne consapevolmente rimossa dalla storia del Reich, al punto da scomparire come donna e tramutarsi, dopo la guerra, in figurina insignificante nelle note a pié di pagina. Eppure Geli Raubal è vissuta, e a giudicare dalla profonda impressione che ha lasciato in tutti quelli che l’hanno conosciuta in vita, ha vissuto pienamente. La sua piccola storia avrebbe potuto cambiare la Storia. Restituirle parte della luce che il tempo le ha sottratto era lo scopo principale dell’Angelo di Monaco, ma nei Demoni di Berlino incontreremo almeno un altro personaggio – anzi, una persona – per la quale vale la pena di fare lo stesso. E in qualche misura, anche se di fronte a una spaventosa mancanza di fonti, è proprio quello che ho provato a fare.

Geli Raubal è una donna. È un caso che hai scelto proprio una donna come eroina di un’epoca in cui gli uomini, salvo qualche rara eccezione, erano i protagonisti assoluti della scena politica e sociale?
In termini concreti, sì, è stato un caso. La storia di Geli mi è finita fra le mani in modo fortuito, e mi ha colpito a prescindere da qualsiasi connotazione di genere o ragionamento sociopolitico. Semplicemente non ne avevo mai sentito parlare, e la cosa mi è parsa scandalosa. Ma mentre raccoglievo i materiali per raccontare la sua storia ho notato chiaramente come la componente femminile del Reich fosse quella più interessante da affrontare, già solo perché raramente è stata al centro della scena. Togliete Leni Riefenstahl o, in misura minore, Magda Goebbels, e la storia del Nazismo sembrerebbe essere solo la storia degli uomini del Nazismo. Ma scavando scavando si finisce per scoprire l’attività fondamentale delle donne tedesche negli anni di Hitler – e un’attività spesso resistente. Un nome su tutti, omaggiato nell’Angelo: Sophie Scholl, tragica leader del movimento antinazista della Rosa Bianca. Nei Demoni di Berlino questa importanza delle figure femminili risalterà anche di più, e non per scelta: per necessità.


Sauer è un commissario giusto, un uomo che cerca la verità ma che si trova a fare i conti con gli ostacoli imposti dall’avanzata della propaganda e del potere hitleriano. Manipolare i fatti, oscurare la verità non sembra però essere solamente una prerogativa dei regimi dittatoriali. Oggi tra fake news e titoloni dei quotidiani la gente sembra spesso mettere in discussione anche la verità più lampante. Servirebbero più Sauer anche oggi? 
Servirebbero sempre, e non tanto per la loro capacità di cercare la verità nonostante i pericoli che questa attività può comportare in epoche innamorate di poteri forti e uomini solo al comando, quanto per la loro onestà nell’ammettere che l’errore può albergare nella biografia di tutti noi, il Male nascere e prosperare anche nella banale normalità. All’inizio dell’Angelo, Sauer non è schierato politicamente: come molti suoi e nostri contemporanei, è convinto che la politica non lo riguardi, o meglio che lo tocchi ma da lontano, da un livello dell’esistenza con cui non può interagire. Come gli dèi di Epicuro, i potenti vivono in altri mondi, e se i loro comportamenti ricadono sull’uomo comune, l’uomo comune ci si deve adeguare, proprio come ci si adegua al clima. I fatti del settembre 1931 smuovono nel profondo questa sua convinzione, e ciò che accadrà nel febbraio 1933 finirà per spingerlo oltre il confine che per tanto tempo ha deciso di ignorare: quello tra la passiva accettazione del suo tempo e il passaggio a un’azione ormai inevitabile per un uomo di coscienza.

Ci sarà spazio per una versione televisiva dell’Angelo di Monaco?
Se ne parla, se ne parla, quindi meglio non parlarne. Per esperienza mia e altrui, so che un libro esiste solo quando è in libreria. Allo stesso modo, un film o una serie esistono solo quando sono sullo schermo. Poi non so cosa augurarmi: questo mondo che ho iniziato a raccontare con l’Angelo e continuato con i Demoni ha ancora molte storie in serbo, per me e per i lettori, e non vorrei fare la fine di George R.R. Martin, il cui Canto del ghiaccio e del fuoco romanzesco è stato superato in corsa dal Trono di spade televisivo, e ora voglio proprio vedere come farà a concludere la saga senza tener conto di ciò che abbiamo visto in tv!

Il tuo lavoro, oltre quello dello scrittore, è “stare in mezzo i libri” (bibliotecario). Toccarne la carta, annusarne l’inconfondibile profumo; per uno come te sarà difficile leggere un libro in e-book o sbaglio?
Diciamo che è difficile rinunciare al libro di carta, per cui confesso che quando mi capita di leggere sul Kobo o su iPad (o persino sul cellulare), poi finisce che compro comunque la copia cartacea. È così bello averla lì sul suo ripiano per riferimento, o anche solo per estetica! I libri elettronici offrono però alcuni vantaggi cui è difficile rinunciare, per esempio nel caso delle Garzantine, o dei repertori di classici, o dei dizionari. Quanto ai romanzi, è bello potersi portare in tasca tutto il ciclo di Cormoran Strike, per piluccarlo nei tempi morti, e certo un e-reader infrailluminato ti consente di leggere anche al buio senza disturbare nessuno. Ma se leggo una cosa che mi interessa, per esempio un thriller di Michael Connelly (da cui c’è sempre tantissimo da imparare) tendo a sottolineare molto e fare orecchie nelle pagine, per cui… Carta, carta, carta. (E se il libro non è in commercio? Fotocopie, fotocopie, fotocopie.) In altre province della mia vita libraria, quando lavoro a una traduzione o a un editing posso partire su schermo, ma finirò per stampare la versione di lavoro vera e propria. Correzione di bozze in elettronico? Impossibile. Servono ancora – serviranno sempre – la penna rossa, la penna blu e l’evidenziatore.


Per Mondadori è stato pubblicato il tuo ultimo romanzo Il Club Montecristo. Il libro fa parte della serie storica “Il giallo Mondadori”. Ecco, che effetto fa, per uno scrittore, vedere il proprio nome stampato sulla copertina di una serie così affascinante e ricca di storia?
Eh. Uno cerca di non pensarci. L’angelo di Monaco nella Gaja Scienza. Le sue traduzioni estere in Alfaguara o Albin Michel. Il club Montecristo prima nel Giallo Mondadori da edicola (correva l’anno 2017, vinse il premio Tedeschi per il miglior giallo inedito) e ora in questa splendida collana da libreria aperta da Camilleri… Uno cerca di non pensarci, e di meritarsi tanta collocazione, che è un onore ma anche un onere. La cosa più inaspettata, a questi livelli, è entrare in una libreria e trovare il tuo libro esposto di piatto, magari anche in vetrina. Oppure sui social. I social sono sempre un terremoto. Stai scorrendo il tuo feed Twitter e d’un tratto ti trovi davanti una copertina che ti sembra d’aver già visto… Ma ehi, è la tua! Come diceva Hugh Grant in Notting Hill, surreale ma bello (surreale ma bellissimo).

Il Club Montecristo ha come protagonisti un gruppo di ex galeotti associati tra loro con lo scopo di far giustizia quando chi ufficialmente dovrebbe garantirla non ha le capacità o la volontà di riuscirci. Al centro della storia c’è l’uccisione di una donna e un unico indiziato: un ex carcerato. Uscire di galera e rifarsi una vita sembra un compito arduo per tutti i protagonisti del romanzo, qualcuno ci riesce e qualcun altro fatica. Nel raccontare questa difficoltà di ri-adattamento quanto hai attinto dalla realtà?
Tutto ciò che riguarda il carcere e i detenuti è tratto dalla realtà. Anni fa, come bibliotecario, mi capitava di andare nel carcere della mia città, Modena, per curare la biblioteca interna e raccontare storie ai carcerati. Ho imparato così tantissime cose, da come sono fatti i penitenziari a come si svolge la vita quotidiana tra mura e sbarre, passando per le storie assai diverse delle persone che hanno la sventura di finire dentro. E magari se lo sono voluto, sì, e in qualche caso non se ne pentono nemmeno. Ma vi assicuro che se nel nostro Paese fosse possibile organizzare visite guidate agli istituti di pena (ben 191, pensate), avremmo molta meno delinquenza ma soprattutto molta più compassione per chi ci soggiorna o ci lavora. Invece il carcere in Italia è un rimosso culturale, con tutte le conseguenze nefaste che si possono immaginare. Il club Montecristo è stato scritto in forma di giallo umoristico per raccontare in modo leggero e avvincente una realtà pesante e respingente che non sappiamo quasi immaginare, eppure ci circonda.

Uno dei protagonisti Marco Maletti, detto Arno, è uno dei pochi “non ex galeotti” del romanzo. La prima volta che entra in un carcere lo descrive come un “cubo di cemento alto sei piani traforato di finestre con muri così alti che si sentiva schiacciato a terra”. Leggendo si percepisce l’ansia e l’angoscia del protagonista che sembra girare tra le sezioni del carcere come Dante nell’inferno. L’immagine così forte è una denuncia delle difficili condizioni delle carceri del nostro paese?
Lo è, lo è senz’altro. Marco Maletti riferisce e patisce quello che ho visto e patito io entrando nel carcere di Modena, rinforzato dalle impressioni che ho poi raccolto dai tantissimi volumi di saggistica o reportage dedicati al tema. Da Adriano Sofri a Francesco Ceraudo, da Luigi Manconi a Edoardo Vigna, passando per romanzi come Dentro di Sandro Bonvissuto, Almarina di Valeria Parrella e gialli come Il maestro di nodi di Massimo Carlotto o Vento in scatola di Marco Malvaldi, l’editoria italiana ha affrontato spesso il «purgatorio penale», chiamiamolo così, ma purtroppo nell’immaginario collettivo è filtrato poco. Se pensiamo alla prigione, il più delle volte ci viene in mento quella “patinata” di film e serie tv americani. La realtà nazionale è ben diversa, e andrebbe conosciuta da tutti i cittadini. E pensare che, a detta di amici che lavorano nel sistema, l’ordinamento italiano in materia è tra i più illuminati al mondo. Semplicemente, mancano i fondi o la volontà politica necessari per tradurlo in realtà quotidiana.

Arno, Lans, Primo, Zero Zero, i nomi dei personaggi del tuo romanzo sono tutti curiosi; per ogni soprannome fornisci una logica spiegazione. Da cosa nascono i tuoi personaggi ed i loro nomi?
Da cosa nascano non lo so. Arrivano già formati, con una faccia, un modo di parlare, una storia e un nome. Ad analizzarli immagino che potrei risalire alle loro fonti, legate probabilmente a persone che ho conosciuto nella realtà o nei libri. Ma il bello di scrivere è questo: un attimo prima quella cosa non c’era, e ora c’è. Verrebbe la tentazione di chiamarla “creazione”, se non fosse che l’umanità può al massimo “sub-creare” (come diceva C. S. Lewis) ed evidentemente ce l’avevi dentro da prima ma ancora non lo sapevi. Costruire un romanzo è ricostruire il proprio inconscio o subconscio, fare auto-maieutica e poi stupirsi di personaggi, eventi e frasi che chissà come sono finiti sulla pagina. A volte mi sorprendo da me. (E chi era, Ethan Coen?, che diceva che al mattino, come metodo di scrittura, accendeva il pc, apriva Word e cercava di far ridere se stesso? Funziona così. Funziona proprio così.) Su nomi e soprannomi posso solo dire che non ho una passione per i nomi “normali”. Per me, o usi un cognome memorabile (“Montalbano sono”) o devi provare a tirar fuori un nome unico per il tuo personaggio unico. In questo, un buon esercizio è leggere le locandine funerarie in giro per le città. Ci sono nomi incredibili, là fuori – Dealmo, Alberino, Felicetta, Unica – a volte con soprannomi ancora più incredibili (me ne viene in mente uno letto a Napoli: “l’omm ’e fierro”). Fermarsi ai nomi soliti è un peccato.

Lans, a mio parere uno dei personaggi più belli del romanzo, dice: “la letteraturaa mi ha salvato la vita, quando ero dentro e da quando sono fuori non ho avuto molta altra vita a parte per la letteratura”. La letteratura può essere veramente una via di salvezza ?
Oh, sì che lo è. A me ha salvato la vita diverse volte, e ancora più spesso mi ha salvato la giornata. Lo scorso anno, durante il lockdown duro, senza letteratura cosa avrei fatto? Come sarei sopravvissuto senza uscire matto? E in questo devo dire che rileggere e correggere Il club Montecristo, un romanzo sul carcere, mentre io stesso ero come incarcerato, è stato parecchio rivelatorio. Ma anche tutti i bei romanzi d’evasione che mi hanno trasportato altrove per ore e ore in giorni buissimi – Stephen King, Lee Child, Arnaldur Indridason, Paolo Regina. Per questo rivendico la nobiltà e l’importanza della letteratura d’intrattenimento. A volte è un premio, a volte un obiettivo, a volte un lusso, a volte un servizio essenziale. Leggere rende tutto più leggero.

Arno lavora in banca, ma ha ottime capacità da informatico. E tu, che rapporto hai con l’informatica e in particolar modo con il mondo dei social?
Con l’informatica: da ragazzino subivo il fascino dei primi computer, a scuola programmavo in LOGO e pensavo di diventare un creatore di videogiochi. Poi crescendo ho preso una sbandata per la letteratura, e ho imparato a usare il pc per scrivere, fare ricerche, connettermi al mondo e agli altri scrittori. I social li ho iniziati a usare in tempi non sospetti, senza scopi promozionali, e ho finito per affezionarmi ad alcuni e snobbare altri, che tollero perché comunque non puoi mai sapere da dove arriverà un’informazione, un contatto o una storia interessante. Twitter è senz’altro il mio preferito – scegli chi seguire, c’è tanta intelligenza – ma anche Instagram mi affascina, non per le celebrities ma per i patiti dei libri che postano copertine e recensioni a bizzeffe. Il mio feed sembra quello di un libraio. Mi piacciono molto anche le foto di paesaggio (soprattutto le nuvole, immagino quanto vi possa interessare). Non ho mai capito a cosa serva LinkedIn, e tengo Facebook per aggiornarmi su quel che combinano una manciata di autori che lo sanno utilizzare. Più di così non credo farò mai, perché ormai ho un’età, e passo fin troppo tempo a leggere feed anziché libri, a scrivere post anziché narrativa. E il tempo non torna indietro per nessuno, diminuisce e non aumenta. Ci sono parecchie storie che devo scrivere ancora. Bisogna che mi concentri.

Senza fare spoiler il romanzo sembra lasciar aperta una porta ad una “seconda stagione”. E’ cosi? 
Tutti i miei romanzi nascono seriali, non so perché. Sarà che amo i personaggi, e che i personaggi per esprimersi e crescere hanno bisogno di spazio. Così sì, come dopo L’angelo di Monaco è già pronto I demoni di Berlino, dopo Il club Montecristo è già pronto ICM2, la sigla con cui parlo del suo primo seguito, un romanzo scritto e consegnato a Mondadori da tempo. Dovrebbe uscire a inizio 2022, seguito da un terzo a in inizio 2023. Al pubblico piacendo, e salute permettendo, sentirete ancora parlare di Arno, di Lans, di Lana, di Elsie. E naturalmente degli Ammutinati. 

MilanoNera ringrazia Fabiano Massimi e Mondadori per la disponibilità

Mauro Grossi

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